Giustizia & Impunità

La riforma della giustizia contiene tanti buoni propositi. Peccato non risolva i problemi

Si farà la riforma della giustizia proposta da Alfonso Bonafede? La riforma della giustizia è una priorità per il nostro Paese? Come scrissi ancora mesi fa, tra i principi del cosiddetto “giusto processo” (art. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione) vi è quello prezioso della ragionevole durata del processo. Ogni persona ha diritto di avere una risposta in tempi ragionevoli dalla giustizia, tanto nel settore civile quanto, a maggior ragione, nel settore penale, investendo spesso la libertà.

Le impietose classifiche internazionali stilate ogni anno pongono l’Italia, quanto alla durata dei processi, negli ultimi posti. Ciò determina inevitabilmente un’instabilità socio-economica e anche culturale, poiché chi chiede giustizia l’avrà tardivamente e i furbi e disonesti ne trarranno beneficio. Oltre a scoraggiare investitori esteri a rischiare in un Paese così tellurico e incerto.

Da troppi anni si discute di una riforma della giustizia e finalmente l’attuale Guardasigilli, che insiste anche sulla riforma della prescrizione (entrerà in vigore nel 2020, anche se “censurata” dai penalisti che osservano come proprio l’attuale prescrizione sia il motivo che induce i magistrati a celebrare i processi penali – e che ha pure la contrarietà del Pd), l’ha esibita.

Il codice di rito attuale già consentirebbe di definire una causa media anche in soli 6 mesi, ma questo non avviene mai per vari motivi: il carico annuo, anche eccessivo, dei procedimenti in capo al magistrato; l’applicazione consolidata e datata dei magistrati di prassi che ne allunga i tempi dei processi (come quella di fissare un’udienza ad hoc per la precisazione delle conclusioni, invero non prevista, se si legge bene l’art. 189 del codice procedura civile); l’indifferenza a strumenti processuali che consentirebbero di definire rapidamente il processo (conciliazione; art. 281 sexies del codice procedura civile; possibilità di diminuire i termini in generale).

Ciò non avviene quasi mai perché imporrebbe una gestione molto accorta del singolo processo, con lo studio approfondito di ogni singolo fascicolo. Il paradosso che si consuma è che la causa viene diluita nel tempo e spesso il magistrato ne prende piena cognizione (con lo studio accorto dell’intero fascicolo e dei verbali) solo quando è chiamato a pronunciarsi.

Il ministro Bonafede ha annunciato che “dimezzeremo i tempi dei processi” con una riforma (in particolare) del processo civile che:

a. vuole rafforzare i sistemi alternativi di mediazione (già fallimentari, ma in questo caso riducendone i casi di obbligatorietà ai “patti di famiglia, i diritti reali, l’affitto d’azienda, le controversie in materia successoria”) e della negoziazione assistita (altrettanto fallimentare, questo anche a causa dell’avvocatura che non ne ha colto appieno l’opportunità o si rifiuta di coglierla, ma per la quale “si prevede che la relativa convenzione possa comprendere lo svolgimento di attività istruttoria stragiudiziaria, con l’obiettivo di favorire una soluzione conciliativa della lite e, in caso contrario, di precostituire materiale probatorio, soggetto alla libera valutazione del giudice della successiva causa, con possibili ricadute positive sulla durata di quest’ultime”);

b. con lo snellimento dei riti (con un rito unico semplificato che andrà introdotto con il ricorso, che dunque andrà prima depositato presso l’organo giudiziario competente; poi il Presidente assegnerà il giudice, il quale dovrà fissare la prima udienza ma che in assenza di termini ben potrà fissarla pure a 8-12 mesi se non oltre, invece degli attuali 3 che l’attore può fissare già attraverso l’atto introduttivo, ergo l’atto di citazione) e con la previsione della riduzione delle pendenze.

Nel settore penale si vuole “migliorare l’efficacia della lotta contro la corruzione, riformando le norme procedurali al fine di ridurre la durata dei processi penali”, anche a mezzo dell’introduzione dello strumento telematico per il deposito degli atti, per le comunicazioni e per le notificazioni a persona diversa dall’imputato, e mediante la revisione della disciplina riguardante le indagini e l’udienza preliminare, i riti alternativi, la celebrazione del dibattimento e le impugnazioni.

Ci saranno poi modifiche all’accesso in magistratura, al sistema degli illeciti disciplinari e delle incompatibilità dei magistrati, alle loro valutazioni periodiche di professionalità e al conferimento degli incarichi. Ritenendo il Governo che “la riforma della giustizia in chiave di maggiore efficienza e trasparenza è condizionata dal buon funzionamento del Csm“.

Che pensare dunque? Tale riforma cosiddetta civile contiene buoni intenti e dunque non si può certo disprezzare. Ma l’impressione è che non colga due snodi fondamentali imprescindibili:

1. l’organizzazione dei cosiddetti “Tribunali” (dal Giudice di Pace sino alla Corte di Cassazione) che è indispensabile e senza la quale l’efficienza e la celerità non saranno mai recepite;

2. l’assenza di termini perentori per i magistrati, che consentono sempre una gestione del processo ampiamente discrezionale.

Abbiate dunque tanta Bonafede. Ma presumo che non basterà affatto.