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Manovra, in Aula al Senato solo giovedì 12: mai così tardi. Tempi stretti per l’approvazione, la Camera potrà solo convalidare

Nel 2015 il primo voto in Aula è stato il 19 novembre, nel 2016 il 25 novembre, nel 2017 il 30 novembre. Lo scorso anno, nonostante lo scontro con l'Ue, il 5 dicembre. Il Pd aveva fatto ricorso alla Consulta contestando che le opposizioni non avevano avuto modo di esaminare le modifiche. La Corte l'aveva ritenuto inammissibile ma avvertendo: "Se va così anche futuro la costituzionalità è a rischio". Borghi (Lega): "Non vorrei che il governo volesse procedere con un maxi emendamento al Senato, chiudere lì il testo e farlo arrivare qui con la fiducia"

“Promettiamo: l’anno prossimo faremo meglio. Arriveremo con grande anticipo“. L’excusatio del premier Giuseppe Conte durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo 14 ore di vertice di maggioranza – e dopo un colloquio con il capo dello Stato Sergio Mattarella – dice molto. Quest’anno la manovra approderà per la prima volta all’esame di un’aula parlamentare (Senato) solo il 12 dicembre. E a quel punto resteranno 19 giorni per evitare l’esercizio provvisorio. Lo scorso anno, nonostante lo scontro con la Commissione Ue sulla possibile procedura di infrazione, la discussione generale sulla legge di Bilancio era iniziata alla Camera già il 5 dicembre e il via libera finale con la fiducia era arrivato il 29 dicembre. Nel 2017 (governo Gentiloni) invece i senatori avevano votato la finanziaria già il 30 novembre, nel 2016 il primo passaggio d’Aula (quell’anno alla Camera) era stato il 25 novembre, nel 2015 (Renzi) il 19 novembre al Senato, nel 2014 (Renzi) il 28 novembre alla Camera.

La conseguenza del ritardo, legato stavolta non alle trattative con Bruxelles ma a difficile negoziato tutto interno tra le anime che sostengono il Conte 2, è che sarà necessario blindare il passaggio con la fiducia ma soprattutto che Montecitorio non avrà di fatto la possibilità di toccare palla. Potrà solo mettere il timbro sulle misure già approvate. Perché il tempo per una terza lettura non c’è. A differenza del 2018 quando comunque infuriarono le polemiche sull’impossibilità di discutere in dettaglio sui contenuti, con tanto di ricorso di 37 senatori Pd alla Consulta perché le opposizioni non avevano avuto modo di esaminare i contenuti del maxiemendamento concordato con la Ue. Lo stesso presidente della Camera Roberto Fico (M5s) ammise: “Molti si lamentano del fatto che la legge non è stata discussa dal Parlamento e hanno ragione, però non succede solo da oggi. Noi dobbiamo far sì che questa cosa non succeda più perché i presidenti della Camera e del Senato non vogliono che il Parlamento lavori in questo modo”. A gennaio la Corte costituzionale si espresse ritenendo inammissibile il ricorso, ma avvertì che per il futuro modalità di decisione e approvazione che comportassero forti e gravi compressioni dei tempi di discussione avrebbero dovuto “essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità”.

Quelle gravi compressioni la Lega già le vede: nei giorni scorsi è stato Maurizio Lupi, presidente dei deputati di Noi con l’Italia, ad annunciare il ricorso alla Corte Costituzionale, e venerdì ha rilanciato il presidente della commissione Bilancio della Camera ed esponente del Carroccio Claudio Borghi: “Non vorrei che il governo volesse procedere con un maxi emendamento al Senato, chiudere lì il testo e farlo arrivare qui con la fiducia. Se succedesse non ci sarebbero precedenti e allora altro che l’intervento della Consulta dell’anno scorso…”. Anche se il leader Matteo Salvini per ora frena: “Per il momento mi sto occupando di Mes, vogliamo bloccarlo con ogni energia necessaria. Prima vogliamo fare di tutto per bloccare questo trattato, che arriva mercoledì in Aula, perché è un rischio per il Paese e poi sulla manovra abbiamo qualche giorno in più per ragionarci”.

Non a caso nel vertice fiume su plastic tax e sugar tax – che nonostante l’intesa sullo slittamento Italia Viva punta ancora ad eliminare del tutto – si sarebbero affrontate anche questioni di calendario, che non sono mera burocrazia perché richiamano gli equilibri fra le due Camere. Dubbi sull’opportunità di comprimere il dibattito parlamentare hanno accompagnato i ragionamenti della maggioranza, che di fronte all’ennesimo impasse avrebbe preso atto dell’impossibilità di procedere diversamente. D’altro canto è ormai certo un nuovo rinvio dell’esame da parte dell’Aula: le votazioni sugli emendamenti in commissione Bilancio, primo step dell’iter, si avvieranno solo da lunedì con l’obiettivo di chiudere entro mercoledì e di arrivare al via libera in Aula entro venerdì 13 dicembre. Troppo tardi per ipotizzare che i deputati possano a loro volta toccare nel merito la manovra- I relatori, è stato riferito dopo una riunione dell’ufficio di presidenza, presenteranno già domenica un primo pacchetto di emendamenti mentre un secondo dovrebbe arrivare lunedì. La mediazione fra i due rami del Parlamento avrebbe però portato ad una soluzione: le proposte di modifica che saranno presentate e votate in Senato saranno in parte condivise con i deputati che travaseranno le loro “istanze” nel pacchetto di emendamenti dei relatori.