Cultura

Padellaro spiega il significato de ‘Il gesto di Almirante e Berlinguer’. Il risultato è un libro prezioso

Il titolo del libro di Antonio Padellaro è fuorviante. Bello, ma fuorviante. In breve: esco di casa e vado alla Feltrinelli di via Appia a Roma, lo compro con una certa idea di ciò che leggerò, lo apro, e subito scopro che questo piccolo e prezioso testo – Il gesto di Almirante e Berlinguer, Paper First – contiene molto di più degli incontri segreti tra i leader del Msi e del Pci. Ma vediamolo da vicino partendo dal 1984, dalla morte di Enrico Berlinguer. Non era scontato che Giorgio Almirante, “il fucilatore di partigiani”, andasse a Botteghe Oscure dove era esposta la bara del Segretario: “Sono venuto a rendere omaggio a un uomo da cui mi ha diviso tutto ma che ho sempre apprezzato e stimato” (p. 82). Si erano incontrati 4 o 6 volte, gli acerrimi nemici, “all’ultimo piano di Montecitorio”, di venerdì pomeriggio quando il palazzo è semideserto. Perché? Di cosa parlarono? Cosa si dissero?

Padellaro è subito chiaro: sappiamo che i colloqui ci sono stati perché l’ha rivelato Magliaro, all’epoca portavoce di Almirante, al giornalista Messina, ma non è trapelato nulla sui contenuti, possiamo fare solo ipotesi, d’altronde – e qui cita Nietzsche – “Non esistono fatti ma solo interpretazioni” (p. 22). Poi però allarga l’analisi al contesto storico e le pagine acquistano il sapore e la lucidità della ricostruzione attenta, realista, dei fatti e delle ragioni che resero possibile gli incontri Almirante-Berlinguer. A. e B. stabilirono che dei colloqui non si sapesse nulla per gli stessi motivi che li resero necessari: il clima infuocato del Paese, il terrorismo rosso e nero sulle pagine di tutti i giornali, gli opposti estremismi che mietevano vittime. Molti militanti non avrebbero capito in quegli anni, tra il ‘78 e il ’79, l’importanza dei colloqui: bisognava vedersi, scambiarsi informazioni, lavorare per svelenire il clima ideologico e recuperare qualche errore commesso. Non è così che agiscono i leader? Il libro offre, non solo tra le righe, spunti di riflessione ai politici di oggi. Ed è qui che diventa prezioso: Padellaro parla di terrorismo rosso e BR, ma annota, tra l’altro, che qualche anno prima era stato ucciso Pier Paolo Pasolini: si disse che a Ostia a osservare la scena del delitto ci fossero giovanotti orgogliosamente fascisti, e forse anche orgogliosamente assassini: “Sì, né B né A si erano accorti che negli interstizi dell’ideologia propugnata dai loro partiti, era cresciuta come l’ortica una generazione omicida. All’inizio entrambi avevano sottovalutato il pericolo. Poi, troppo tardi, avevano cercato di contrastarlo” (p. 32).

Ecco la ragione degli incontri: contrastare il terrorismo anche perché cominciarono a pensare che gli assassini, rossi o neri, avrebbero aspettato al varco anche loro “com’era avvenuto per Aldo Moro”. Entrambi erano nel mirino del terrorismo e Berlinguer aveva già subito un attentato il 3 ottobre 1973 in Bulgaria. Berlinguer deve morire recita il titolo di un libro che ricostruisce la vicenda: una settimana prima dell’attentato, su “Rinascita”, aveva parlato di “compromesso storico” (p. 50), in troppi non volevano l’incontro Dc-Pci, né gli Stati Uniti né l’Unione Sovietica. Moro pagò con la vita. Berlinguer ci mancò poco.

Nel libro di Padellaro c’è molto di più dei colloqui Almirante-Berlinguer. C’è, per dire, l’analisi del cosiddetto partito della fermezza, ovvero di Dc, Pci, stampa, durante il rapimento Moro. Poteva essere salvato il leader democristiano? Perché la DC non mosse un dito in questa direzione? Perché le lettere di Moro crearono “stupore e imbarazzo”? Perché Cossiga lo abbandonò? Perché l’informazione unica fu implacabile nella linea della fermezza? Questo non è solo un libro sugli incontri tra A. e B., è un testo che pone domande e solleva problemi: il giornalismo della fermezza non fu sempre ispirato dalla guerra al terrorismo: “chi scrive ha sempre pensato – osserva Padellaro – che Moro difficilmente sarebbe uscito vivo dalla prigione” (p. 58). Il leader Dc è morto una prima volta quando è stato abbandonato dal suo partito, poi è stato ucciso dalle Br: “Convergenze parallele, si potrebbe dire” adottando la celebre formula di Moro (p. 60). E’ intrigante il libro di Padellaro e di piacevole lettura, perché con tocco leggero dice cose profonde: in pochi cercarono di fermare “il combinato disposto terrorismo-fermezza” (p. 65).

Molti i riferimenti letterari che arricchiscono il testo: vi troviamo Leonardo Sciascia (Affaire Moro), che accusa Berlinguer “di aver anteposto alla vita di un uomo il suo essere ‘statista’” (p. 62); Heinrich Boll (L’onore perduto di Katharina Blum) che “giustifica l’andamento del racconto” (p. 19); Elbert Hubbard (Un messaggio per Garcìa), sulla necessità di portare a termine la propria missione”, pp. 35-36; Javier Cercas (Anatomia di un istante), sulla straordinaria importanza politica di un gesto (pp. 36-39), eccetera. Mi fermo qui. Basta per mostrare l’impianto di un libro attento ai temi, certo, ma anche al lettore e al piacere del testo, per dirla con Roland Barthes, alla godibilità estetica di pagine curate nello stile. Nella scrittura.

Così come Cercas immortala il gesto di Suarez, in Spagna nel 1981, Padellaro prova a mostrare (e ci riesce) l’importanza del gesto di Almirante e Berlinguer: in un clima infuocato s’incontrano “i due nemici”, per il bene del Paese, e quel gesto “ammirevole, sorprendente, solitario”, dimostra il loro coraggio (p. 39). Ecco, non sappiamo nulla di ciò che si dissero ma conta il gesto, più delle parole, ha grande valore simbolico: dovrebbe essere un esempio per quanti – nell’universo politico odierno – si muovono in direzione opposta. Padellaro apre il libro, prezioso anche dal punto di vista letterario, citando in epigrafe l’Iliade: “La grazia suprema delle guerre, è l’amicizia che sorge nei cuori di nemici mortali”. Riprende il concetto in chiusura: prevalga “al posto dell’odio, il rispetto”; una città dedichi ai due nemici “Piazza Almirante e Berlinguer”. Lo ascolteranno?

Infine, il libro di Padellaro esce nel momento in cui al Salone di Torino esplode la polemica sulla partecipazione delle edizioni Altaforte. Ha ragione Paolo Flores d’Arcais, il fascismo è fuori legge ed è un errore che quelle edizioni abbiano spazio: pubblicano apologie del Duce. Legittime le proteste. Altro è ovviamente il discorso di Padellaro: la sua proposta di una piazza dedicata ad Almirante e Berlinguer non implica un cedimento al fascismo di Almirante, è piuttosto il riconoscimento di un gesto di pacificazione di due “nemici” compiuto in un momento ideologicamente molto teso. C’è bisogno di gesti di riconciliazione, quando è possibile.