Mafie

Mauro Rostagno, 31 anni dopo la morte dieci persone a giudizio: “Falsa testimonianza al processo per l’omicidio”

I giudici d’Assise utilizzano la parola “depistaggio” per sintetizzare una serie di fatti “che non sembrano trovare spiegazione solo in una clamorosa inadeguatezza del personale operante o in una cronica mancanza di professionalità”

Gli interrogativi sull’omicidio del giornalista e sociologo Mauro Rostagno saranno al centro di un nuovo processo. A trentuno anni di distanza dall’uccisione avvenuta a Valderice (Trapani) il gup del Tribunale di Trapani ha rinviato a giudizio dieci persone accusate di aver reso falsa testimonianza durante il processo di primo grado ai giudici della Corte d’Assise di Trapani. La corte presieduta da Angelo Pellino alla fine condannò il mandante Vincenzo Virga, all’epoca capo della mafia di Trapani e il killer Vito Mazzara. Esattamente un anno fa la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza, assolvendo però Mazzara. I giudici non hanno ancora depositato le motivazioni.

I dilemmi sull’omicidio di Mauro Rostagno sono davvero tanti. I giudici d’Assise utilizzano la parola “depistaggio” per sintetizzare una serie di fatti “che non sembrano trovare spiegazione solo in una clamorosa inadeguatezza del personale operante o in una cronica mancanza di professionalità”. In questi mesi l’accusa e le difese hanno depositato decine di faldoni e tra le dieci persone rinviate a giudizio ci sono investigatori, massoni e anche un giornalista. Ognuno di loro ha testimoniato su fatti ed episodi diversi. Piccoli dettagli che non hanno agevolato lo svolgimento delle indagini, portando all’apertura di numerosi fascicoli d’inchiesta con indagati e piste investigative molto diverse tra loro.

A processo due luogotenenti dei carabinieri e della guardia di finanza: Beniamino Cannas e Angelo Voza. Il primo in quegli anni era in servizio al Nucleo operativo provinciale quando i carabinieri indagavano sull’uccisione di Rostagno. Tanti i non ricordo durante il suo interrogatorio. E tra le altre cose è accusato di non aver riferito all’autorità giudiziaria di un incontro che “Rostagno aveva avuto con Natale L’Ala (massone e mafioso di Campobello di Mazara) dal quale era uscito sconvolto in cui si era parlato delle vicende relative alla Loggia Iside 2 di Trapani”. Voza invece si trova a processo per aver “lavorato di fantasia” – scrivono i giudici di primo grado – sulla ricostruzione di una minaccia che Rostagno avrebbe ricevuto da Agate.

Imputate anche le vedove di Puccio Bulgarella, editore di Rtc, la tv di cui Rostagno era direttore, e del generale Angelo Chizzoni, all’epoca in servizio al Sisde. Si tratta della professoressa Caterina Ingrasciotta e Leonie Chizzoni Heur, che disse di non conoscere né il giornalista né Francesco Cardella, gurù della comunità Saman,  morto misteriosamente in Nicaragua nel 2011, durante il processo di primo grado. Poi c’è l’ex numero due della loggia massonica segreta Iside 2, Natale Torregrossa, di 69 anni. Fu arrestato nel marzo 1988 proprio per associazione segreta. Un mese prima aveva incontrato Rostagno. Sul numero e sul contenuto di questi incontri, secondo i giudici, ha mentito anche grazie alle testimonianze concordate con Antonio Gianquinto, indicato come “dentista della Saman” ma in ottimi rapporti con Cardella e conoscente di Rostagno.

Per il giornalista Salvatore Vassallo il pm Sara Morri aveva chiesto di applicare la prescrizione. Per i giudici è stato “reticente” nel non riferire completamente su alcune minacce rivolte a Rostagno tramite lui. Infine ci sono Liborio Fiorino, Salvatore Martines, Rocco Polisano, tre operai piastrellisti finiti in un curioso episodio emerso dai processi. Riguarda il ritrovamento di Fiat uno carbonizzata il 27 settembre 1988 all’interno di una cava a Valderice. A pochi metri di distanza furono sequestrati il copricanna di un fucile calibro 12 e i resti di un picnic con bicchieri di plastica, vaschette di carta argentata e uno scontrino. Per gli investigatori era l’auto dei killer di Rostagno e i tre operai si presentano dai carabinieri dicendo di essere gli autori della scampagnata. Qualcuno dice che hanno mangiato salsiccia, qualcun’altro ricorda pesce, poi concordano: carne e pesce.

Lo scontrino sequestrato invece ha una strana intestazione: Francesco Virga, nipote di Vincenzo Virga. La sua macelleria dista 20 minuti dalla cava e i tre abitavano in zona. Durante il processo si è cercato di riesumare l’auto e i resti del picnic, compreso lo scontrino. Ma le prove sono state distrutte con un apposito verbale nel dicembre 2000. “Erano tra numerosi altri corpi di reato che da tempo giacevano presso l’Ufficio corpi di reato del tribunale di Trapani in relazione a procedimenti assai risalenti e da tempo ormai definiti”.