La statuetta per il cartone è una questione di monopolio industriale e creativo puro e semplice. Impossibile da valicare, da scalfire, da distruggere. Ma il nostro cuore batte per gli altri
Un passato alla Toei animation, in conflitto con i piani alti dello studio Ghibli (doveva girare Il castello errante di Howl), infine autonomo produttore di Mirai con Studio Chizu, Hosoda è regista anche del mirabile Wolf Children. È la sesta nomination per un film d’animazione giapponese, con le prime cinque tutte targate Studio Ghibli, tra cui l’Oscar per Spirited Away di Hayao Miyazaki nel 2002 quando la categoria del Miglior Film d’animazione aveva appena compiuto un anno. Altro (nostro) serio e meritato pretendente per l’Oscar 2019 è, infine, Isle of dogs di Wes Anderson.
L’ipnotica, bizzarra, e apparentemente seriosa epopea del dodicenne Atari, determinato a ritrovare il suo cane Spots sull’isola in cui i quadrupedi di un Giappone distopico datato 2037 sono stati cacciati per un’epidemia canina, possiede un tale rigore formale singolare che meriterebbe un premio solo per la lunga e articolata realizzazione. Il film di Anderson sconta però una polemicuccia che in epoca di un’Academy attenta ad ogni stormir di foglia politically correct potrebbe farlo allontanare ulteriormente da un Oscar comunque non facile da ottenere. Isle of dogs ha ricevuto accuse di rappresentazione di “stereotipi razziali” e di “appropriazione di cultura giapponese” che non sono passate via lisce. Dalla sua un cast di doppiatori all star, tra gli altri: Bill Murray, Edward Norton, Greta Gerwig, Francis McDormand.