Cultura

Un nemico è il miglior amico della propaganda. Specie di quella populista

Il nemico è buono come il pane. Non è un ossimoro concettuale. Il nemico serve, è necessario. Dalla fine del XVIII secolo il nemico è stato utilizzato come un elemento fondante dell’azione di propaganda per garantire consenso e manipolare il popolo. Scoperto durante la Rivoluzione, l’uso politico e soprattutto propagandistico del nemico (gli aristocratici e la coalizione delle monarchie), è diventato straordinariamente efficace quando è stato applicato a una società moderna. Il Novecento è stato così il secolo aureo dell’uso propagandistico del nemico.

Dalla mobilitazione interventista, all’impresa di Fiume, D’Annunzio ne fu uno sperimentatore audace. L’impatto simbolico del Vate, il verbo, assai spesso incomprensibile ai più, e già per questo indiscutibile, avevano bisogno di un caglio per divenire materia compatta, massa d’urto. Il nemico era il caglio. L’Austria e la Germania, prima per l’intervento. Ma poteva accadere che il nemico non ci fosse, una volta consumata la sconfitta degli Imperi centrali, bisognava rapidamente crearne un altro. La creazione dal nulla di un nemico è stato un secondo passaggio. D’Annunzio dimostrò che era possibile creare un nemico dal nulla.

L’Italia vincitrice in poche settimane si ritrovò sconfitta, frustrata e colma di un rancore che non sapeva di avere verso il vecchio polveroso sistema democratico giolittiano. D’Annunzio inventa la “Vittoria mutilata” semplifica, tutto, pone di fronte alla massa ondeggiante una realtà priva di sfumature e concentra tutto su un simbolo, un luogo da assalire, da conquistare, da possedere in un’azione catartica per sconfiggere il nemico. D’Annunzio è dunque uno sperimentatore audace. Ma l’uso del nemico diventa assolutamente efficace pochi anni dopo e ciò avviene quando esso viene coniugato in modo sistematico con l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa. È uno strumento moderno e viene usato da un movimento moderno come il fascismo e poi il nazismo. Entrambi sono frutto della modernizzazione e mettono al centro la tecnologia, l’utilizzo di mezzi nuovi come la radio e il cinema che in quegli anni assume una larga diffusione soprattutto tra i ceti popolari.

L’uso della propaganda è l’arma vincente. Il socialismo la usa nella rivoluzione bolscevica, il populismo fascista e nazista ne faranno una delle armi principali per far levitare minuscoli gruppi politici fino a farli arrivare al potere. Il fascismo, che a mio avviso è un movimento populista (esiste una differenza marcata col franchismo che è invece emanazione della destra reazionaria e clericale spagnola), è fenomeno nuovo, giovane, agile perché slegato da qualunque ideologia. Una spugna, priva di sistema nervoso, capace di filtrare ogni nutriente che arrivava dalla realtà.

Slegato da barriere di classe, da qualunque steccato che potesse frenarne la raccolta di consenso, il fascismo (e poi il nazismo) è figlio del suo tempo. Non fa congressi, ma adunanze, mobilitazioni. È libero dalle liturgie democratiche, ma asserisce di parlare in nome del Popolo, di un Popolo astratto. Ha bisogno di una legittimazione di consenso e il consenso si compra: con le elargizioni e con la paura. Due cose che si capiscono subito, che non hanno bisogno di discorsi complessi Al sorgere degli anni 20 il fascismo può essere ciò che meglio fa comodo. Raccoglie mediocri, falliti, frustrati, delinquenti comuni, reduci valorosi ma anche profittatori, imboscati, voltagabbana d’ogni risma, figli della piccola borghesia spaventata dalla crisi economica del dopoguerra e figli a caccia d’avventure di un’aristocrazia decadente. Disprezza la conoscenza, il pensiero libero, il sapere, ma esalta la fede cieca “marinettiana” nella tecnologia. Un misto tra positivismo futurista e disprezzo medioevale per la conoscenza, vista come un pericoloso ostacolo alla semplificazione. E cosa vi è di meglio per semplificare se non il nemico.

Mussolini impara in modo perfetto la lezione comunicativa del Vate, lo supera di slancio, si appropria persino dei suoi, simboli (pugnali, gagliardetti) degli slogan vincenti, delle parole d’ordine e perfino del saluto (eia eia alalà). Ma soprattutto sa che per tenere insieme quell’accozzaglia ha bisogno di un nemico. Il fantasma bolscevico che si aggira per l’Europa è perfetto. I socialisti, dai quali proviene e che lo odiano come si odia un traditore, un infame) sono il nemico ideale. Il nemico dannunziano viene momentaneamente sostituito dal nemico rosso, che sarà a sua volta sostituito di nuovo dai democratici e dalle istituzioni albertine, alla vigilia della presa del potere. Il bemico accompagnerà il fascismo per tutto il Ventennio; cambierà nome, ma sarà centrale, così come lo sarà per il nazismo.

L’uso del nemico esterno non si esaurisce con il 1945. Lo ritroviamo perfettamente efficace nei due schieramenti contrapposti della Guerra fredda: il pericolo comunista e l’imperialismo americano. Il nemico non solo permette di catalizzare e cementare il consenso, ma permette di spostare l’attenzione. I governi autoritari, oggi quelli populisti, hanno la necessità di spostare l’attenzione dagli argomenti, dai temi scomodi o per i quali non si hanno risposte credibili. Il nemico è dunque parte essenziale della propaganda ipersemplificata.

Fino a qualche giorno fa i migranti, la fantomatica invasione dei neri, poi la Francia – provocata al punto da suscitare un reazione diplomatica mai messa in campo da un Paese europeo nei confronti di un altro Paese europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale – permettono di non parlare di temi scomodi come la recessione economica, l’insensatezza di alcune ricette, la disoccupazione e l’incapacità dei governanti. Il nemico piace, permette di concentrare la rabbia e la frustrazione di una società alla quale non si è capaci di dare risposte efficaci. Permette di spostare i problemi ad un eterno dopo. Sono gli ingredienti della vecchia ricetta. Un piatto rancido, ma che al ristorante del populismo si vende sempre con grande successo.