Economia & Lobby

Recessione, la colpa non è di Salvini e Di Maio. Se ‘allarghiamo lo sguardo’ è tutto fermo

L’Italia è entrata in recessione, ma la maggior parte della colpa è di Donald Trump, non di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Diamo insomma al governo una pezza d’appoggio macro, una volta ogni tanto. Le chiacchiere stanno a zero, no? Lasciamo parlare i “fondamentali”. Anche se è vero che l’esecutivo Conte spende molto del suo soft power mediatico con la testa alle Elezioni europee di maggio (Lega e M5S sono il primo caso al mondo di un’amministrazione di lotta e di governo, e per questo la maggioranza è solida), la verità, per chi si occupa di scenari macroeconomici e non di slogan, è che l’economia italiana non avrebbe messo affatto il turbo, e non produrrebbe posti di lavoro a milioni, e non saremmo tutti ricchi, con un governo diverso da quello oggi installato a Palazzo Chigi. Nemmeno con un governo di destra l’Italia crescerebbe.

Allarghiamo lo sguardo. La crescita economica reale (salari e potere d’acquisto) degli Stati Uniti supera ancora ampiamente quella della Cina e dell’Europa, eppure siamo in molti a mettere in dubbio quanto questo potrà durare. Gli ultimi dati del settore servizi (ovvero: tutto quel che non è manifatturiero) sono utili per capire cosa accade. In America, l’attività dei servizi è ancora in espansione, anche se al di sotto delle previsioni. La crescita in Cina invece – e qui solo per colpa del nazionalista e sovranista Trump con la sua guerra commerciale anti-Pechino – è in forte calo rispetto agli ultimi semestri; anche se è comunque una crescita. In Europa, tuttavia, l’attività nel settore servizi a gennaio si è fermata quasi del tutto. E in Italia, come sappiamo, l’ultimo semestre ha registrato una crescita sottozero, servizi compresi. Tutto fermo. Congelato.

Il brutto è che se spulciamo gli ultimi sondaggi – non quelli politici, ma quelli sul consumo e l’attività economica – i consumatori americani affermano che la loro fiducia sta letteralmente crollando. Ecco il vero indicatore sul futuro dell’economia: i consumatori e le famiglie sono preoccupati per l’incertezza e potrebbero ridurre le spese. Al contempo le imprese potrebbero scalare i loro investimenti (in Italia il governo sostiene che il reddito di cittadinanza serva proprio in funzione anticiclica per fare da paracadute al calo dei consumi, anche si tratta di pochi decimali di Pil). Notiamo poi che in Gran Bretagna questo scenario si sta già verificando. Per gran parte del 2018, l’economia Uk è cresciuta a un ritmo migliore del previsto. Ma adesso l’incertezza causata dalla Brexit, con l’imminente e forse caotica uscita del Paese dall’Unione europea, ha fatto sì che la fiducia dei consumatori british si stia gradualmente riducendo.

Ebbene, i dati pubblicati proprio ieri, martedì, mostrano che l’attività nel settore servizi del Regno Unito (che rappresenta l’80% dell’economia totale – tra parentesi: Cgil, Cisl e Uil si intestardiscono a rivendicare la rappresentanza di una classe operaia manifatturiera in via di estinzione) a gennaio non è cresciuta affatto. Tutto fermo. Congelato. Corollario: le imprese inglesi stanno cominciando a tagliare posti di lavoro. Facile previsione, purtroppo come per l’Italia: l’economia del Regno Unito è a rischio contrazione per tutto il primo trimestre 2019.

Torniamo di nuovo a un orizzonte più ampio. Il rallentamento della crescita economica in altre parti del mondo, con la Cina presa a pugni sul commercio da un presidente ex palazzinaro, avrà un impatto ineluttabile sugli Stati Uniti. Avrà un impatto ineluttabile sull’Europa. Avrà un impatto ineluttabile sull’Italia. La Cina oggi è – diciamo – “responsabile” del 15% dell’economia statunitense e del 35% di quella europea. Se l’economia della Cina continua a rallentare (trascinandosi dietro l’Europa) e se Trump continua a fare il bullo con Xi Jinping, l’offerta di tutto quel che il capitalismo mondiale pone sul piatto globale nel 2019 supererà di gran lunga la domanda: not a good idea.

In termini politici la Lega, con la sua base elettorale produttiva del Nord, queste cose le conosce benissimo. E Salvini le capisce al volo. Invece la sconveniente verità per il M5S (o meglio: per la leadership Casaleggio-Di Maio) è che dovrebbe puntare a ragionare in termini economici, di governo del terzo Paese Ue per Pil, di crescita reale dell’Italia in un contesto internazionale, e non solo in termini di slogan da campagna elettorale. Il M5S dovrebbe cominciare a far parlare, e far apparire in Tv qualcuno come il leghista Giancarlo Giorgetti, e mettere alla porta per sempre il populismo pauperista da pasdaran alla Alessandro Di Battista. Potrebbe il M5S trasformarsi in un partito di sinistra democratica vera, mandando finalmente in quota 100 il Pd?