Diritti

Castelnuovo di Porto, quel Cara andava chiuso. Ma quella di Salvini è deportazione

Il dolore arriva leggendo tra le righe dei quotidiani, Fatto Quotidiano compreso, che oggi hanno raccontato la vicenda del Cara di Castelnuovo, comune vicino Roma, sgomberato con furia da Matteo Salvini tanto da lasciare nello sgomento oltre 500 persone, ignare del loro destino. Tra di loro, e appunto fa male leggerlo, tanti minori – tra cui una giovane promessa del calcio – che dovranno lasciare la scuola. E poi individui fragili: una donna malata di tumore, un’altra che ogni mattino con i mezzi andava all’ospedale Gemelli per allattare il suo bambino prematuro. Un’immagine veramente angosciante che dovrebbe spingere qualsiasi politico a riflettere sulle conseguenze dei suoi atti.

La polemica è divampata rapidamente, con il Pd che ha facilmente cavalcato lo sdegno dei tanti di fronte a un’operazione così indegna, commentata dal ministro dell’Interno con “se sei qui a chiedere asilo politico, non puoi certo pretendere di andare a Cortina“. Ma anche i cattolici hanno fatto sentire con forza la loro voce. In particolare, i francescani hanno inviato un tweet al governo citando la frase evangelica “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Mai così calzante come in questo caso. I cittadini di Castelnuovo hanno fatto la loro parte, offrendosi di ospitare alcuni degli ospiti della struttura. E ha fatto la sua parte la deputata di Liberi e Uguali Rossella Muroni, l’unica dell’intero Parlamento a essere andata di fronte al pullman in partenza per bloccarlo (ma gli altri cosa facevano?).


Con fatica ho accantonato le emozioni legate all’immagine del piccolo prematuro nella culla del Gemelli per approfondire la questione del Cara di Castelnuovo. Secondo molti che di immigrazione si occupano, in realtà, non proprio un modello di accoglienza, come tra l’altro ha raccontato il manifesto in un reportage di qualche giorno fa. Un luogo che andava chiuso, come lo stesso Marco Minniti auspicava: in favore, però, di una riconversione degli ospiti verso i centri Sprar, luogo di vera integrazione, che però per accogliere un numero maggiore di immigrati andavano potenziati: invertendo la proporzione tra i Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo, dove i migranti stanno per il periodo necessario alla loro identificazione e all’esame della loro domanda d’asilo) e i Cas (Centri di accoglienza straordinaria, che accolgono in prima istanza chi arriva via mare) a favore degli Sprar: qui una spiegazione dei vari tipo di strutture di accoglienza.

La differenza radicale con il passato e con il precedente governo è che, però, Salvini vuole chiudere questi centri non per mandare i migranti negli Sprar, che sono invece stati depotenziati dal decreto sicurezza, ma sostanzialmente per abbandonarli, nonostante i proclami. Come ha spiegato Fiorenza Sarzanini oggi sul Corriere, fino all’entrata in vigore del decreto sicurezza tutti i richiedenti asilo potevano essere ammessi nel sistema Sprar, accedendo a corsi di formazione, lavori socialmente utili, corsi di italiano eccetera. Con le nuove norme, minori non accompagnati a parte e rifugiati riconosciuti tali, tutti gli altri immigrati sono fuori da ogni tipo di progetto. Con il rischio, appunto, di un drammatico aumento degli invisibili.

Tutto questo per Salvini è semplicemente “la fine della pacchia”. Chi si oppone a questa logica non è necessariamente a favore del sistema attuale, ad esempio della miriade di cooperative che incassano soldi pubblici quando le persone per le quali ricevono soldi vivono in condizioni miserabili. Le politiche di immigrazione e di integrazione si possono cambiare, ha detto il sindaco di Castelnuovo. Il punto è che andrebbero cambiate in maniera diversa, e sempre nel rispetto dei diritti umani, anche per non andare contro la Costituzione e quindi contro le sentenze dei giudici.

E lo stesso vale per la politica riguardante l’accoglienza nei porti italiani. Siamo d’accordo con il fatto che l’Europa sia immensamente colpevole di indifferenza e ipocrisia sulla questione dell’arrivo dei migranti nei nostri porti, così come sulla mancata modifica del Trattato di Dublino, che stabilisce che lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo è lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’Unione europea, cioè con tutta evidenza i Paesi come l’Italia che hanno più coste. Ma queste politiche si possono cambiare attraverso il confronto e anche l’eventuale scontro istituzionale, non con misure come la chiusura dei porti, la feroce e allucinante lotta alle Ong che hanno sempre avuto come unico obiettivo salvare le persone da morte certa, la dichiarazione di un’autosufficienza in materia di gestione dell’immigrazione che suona ridicola e al tempo stesso inquietante.

Anche perché ignora che avere mari “puliti” significa solo che decine di migliaia di persone sono rimaste nell’incubo, intrappolate o riportate in Libia da dove volevano soltanto fuggire, tanto da dichiarare di preferire la morte che essere rimpatriati. E a proposito, proprio oggi La Stampa pubblica le storie dei ragazzi morti nell’ultimo naufragio. Adolescenti come i nostri – vezzeggiati e iperprotetti – che come ultima immagine della loro vita hanno un gommone che affonda e un mare nero nel quale precipitano, sapendo di non saper nuotare. No, le politiche dell’immigrazione non si possono fare solo con i buoni sentimenti. Ma certamente, neanche senza.

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