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Salvatore Ligresti, scompare un discusso protagonista della finanza italiana: tra protezioni politiche, scandali e condanne

L'immobiliarista aveva 86 anni. Spregiudicato, rampante, legato a doppio filo con il potere politico e finanziario: grazie alla guida di Cuccia e di Mediobanca il costruttore di Paternò, il più discusso dei "siciliani a Milano", è diventato un nodo fondamentale del capitalismo familiare italiano. Dopo la condanna per tangenti l'addio ai ruoli operativi: a sostituirlo furono i figli, fino al quasi-crac di Fondiaria-Sai, con una nuova condanna a 5 anni

 

Con la scomparsa di Salvatore Ligresti, morto a 86 anni all’ospedale San Raffaele di Milano, si chiude un ciclo della storia economico-finanziaria italiana iniziato nel primo dopoguerra: quello dei “siciliani a Milano”. Il capostipite più nobile, tratteggiato da Fabio Tamburini in un libro di culto per diverse generazioni di cronisti finanziari, era Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca. Quello più discusso, tra quelli che comunque avevano un posto di rispetto al desco dell’alta finanza italiana (e a darglielo, quel posto, era stato proprio Cuccia) era Ligresti da Paternò, provincia di Catania. Il costruttore. Sospettato di legami con mafiosi.

Di lui si è detto e si è scritto di tutto. Ed è entrato nella leggenda fin dai primi anni ’80, quando i sequestratori della moglie – Bambi Susini – che venne rilasciata dopo il pagamento di un riscatto, vennero assassinati: uno fu ritrovato in una discarica, un altro venne ucciso nel carcere di Palermo, l’Ucciardone, e il terzo non venne mai più ritrovato. Salvatore Ligresti per Milano ha rappresentato quello che era il costruttore Nottola nel film di Franceso Rosi “Le mani sulla città”. Spregiudicato, rampante, legato a doppio filo con il potere politico e finanziario. E forse anche con altro. Accuse mai provate, che però hanno lasciato strascichi importanti. A Milano Ligresti ha edificato di tutto, anche le case dei giornalisti (quelle dell’Inpgi di Via dei Missaglia), ma non si è limitato certo a quello: grazie alla guida di Cuccia e di Mediobanca il costruttore di Paternò è diventato un nodo fondamentale del capitalismo familiare italiano. Le sue partecipazioni azionarie erano funzionali all’assetto di controllo di molti dei principali gruppi finanziari e industriali, a partire dalla stessa Mediobanca, per non parlare di Rcs (Corriere della Sera) e delle decine di altre partecipazioni.

Un potere enorme, alimentato anche dalle frequentazioni politiche e sempre indirizzato dal mentore Cuccia. A lui, che scippò con destrezza la Sai Assicurazioni a Raffaele Ursini, venne fatta acquistare a tempo debito la fiorentina Fondiaria, mettendogli in mano un vero impero che spaziava appunto dalle assicurazioni, agli immobili, all’attività alberghiera. Legato ai socialisti, e al tempo stesso ai compaesani La Russa, fascisti, Ligresti ha fatto molta strada nonostante vari scandali finiti nel nulla. Una dura battuta d’arresto molto dura è infine arrivata con Tangentopoli. Inquisito e incarcerato (per 112 giorni) per corruzione nella vicenda degli appalti della Metropolitana Milanese e delle Ferrovie Nord venne poi condannato in via definitiva a 2 anni e 4 mesi da scontare con l’affidamento ai servizi sociali. La condanna però non fu del tutto indolore perché, a causa della perdita dei requisiti di onorabilità, dovette rinunciare agli incarichi operativi nelle sue società. A sostituirlo furono i figli, fino al quasi-crac di Fondiaria-Sai con il passaggio di controllo pilotato del gruppo assicurativo a Unipol.

Quello fu il momento più basso della sua carriera imprenditoriale, non solo perché si capì come funzionava nella pratica la gestione Ligresti (distrazioni per decine di milioni di euro), ma anche e soprattutto perché divenne evidente come senza la protezione del “siciliano a Milano” Enrico Cuccia, Salvatore Ligresti e la sua famiglia non contavano ormai più niente. La finanza “moderna” ha dunque preso il sopravvento, ma dal capitalismo familiare e relazionale di Cuccia si è passati a una versione pseudo-moderna di qualcosa di molto antico. Per rendersene conto basta leggere le intercettazioni telefoniche intercorse tra la sede di Mediobanca e quella della Consob nei giorni “caldi” della vicenda Unipol-Fonsai, per non parlare dell’Authority di vigilanza delle assicurazioni – all’epoca nota come Isvap e presieduta da Giancarlo Giannini, – che non a caso in seguito agli avvenimenti è stata nominalmente azzerata (ora si chiama Ivass ed è presieduta dal direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi con lo stesso staff dell’era Giannini).

Queste vicende hanno prodotto un grave danno alla credibilità del sistema finanziario italiano e, al di là delle condanne penali nei confronti della famiglia Ligresti (per il capostipite, in particolare, 6 anni per Fondiaria Sai e 5 anni per Premafin) e dei manager a loro vicini, restano ancora lì, in sospeso. Perché Unipol ha acquisito Sai-Fondiaria con delle modalità che poco hanno a che fare con la trasparenza del mercato (vi furono incontri informali con l’allora presidente della Consob Giuseppe Vegas in cui l’authority di controllo dei mercati faceva consulenza alla controllata Unipol spiegando come presentare in modo efficace e accettabile l’offerta d’acquisto). Con Salvatore Ligresti se ne va un pezzo importante di storia italiana del Dopoguerra, nient’affatto bello. Il problema è che non lo ha sostituito niente di meglio.