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Moby Prince, la commissione d’inchiesta cancella due inchieste e un processo: “La nebbia non può essere la causa”

L'organismo del Senato approva all'unanimità la seconda relazione. L'ultima nei prossimi mesi, dopo le perizie. Ma i senatori fissano altri punti. E cancellano dalla storia del disastro navale del 1991 quella che è sempre stata indicata dai pm e giudici come unica causa

La nebbia non può essere la causa del disastro del Moby Prince. Ora non lo dicono i giornali, non lo dicono i parenti delle vittime. E’ scritto, nero su bianco, nella seconda e penultima relazione intermedia della commissione d’inchiesta del Senato sulla più grande tragedia della marineria civile italiana in tempo di pace: morirono in 140 la sera del 10 aprile 1991 davanti a Livorno tra il traghetto Moby e la petroliera Agip Abruzzo. La nebbia era stata l’elemento principale sul quale le due inchieste della Procura livornese (la prima negli anni Novanta, la seconda conclusa nel 2010) avevano basato tutte le ricostruzioni. Ma era stato il velo fatto cadere giù – fin da subito – da tutti i protagonisti di questa storia, a partire dall’allora comandante della Capitaneria di porto di Livorno, Sergio Albanese. “Appare difficilmente proponibile – scrive invece la commissione nella relazione approvata all’unanimità – l’ipotesi di una riduzione della visibilità in tutta la rada di Livorno nelle ore della tragedia”. Ma non solo: le stesse testimonianze dei marittimi della petroliera consentono di “ridimensionare sensibilmente, finanche ad escluderla, la rilevanza di tale fenomeno”. I fenomeni nebbiosi, ricordano i senatori nel rapporto, hanno interessato “limitate porzioni di mare e per periodi di tempo circoscritti, per giunta “molti testimoni” indicano quel fenomeno anche come “fumo”. La conclusione è che “appare pertanto improbabile ricondurre le cause della tragedia alla presenza di nebbia”.

Il rapporto dell’organismo di Palazzo Madama è più breve e contiene meno elementi di quanti se ne potevano attendere dopo alcune dichiarazioni del presidente Silvio Lai, che aveva anticipato tra l’altro che l’impatto tra traghetto e petroliera era avvenuto perché la nave passeggeri aveva dovuto cambiare rotta improvvisare per evitare un ostacolo. Questo passaggio nelle conclusioni della commissione ancora non c’è, anche perché la commissione – spiegano dal Senato – prima vuole attendere le cinque perizie che dovranno chiarire gli interrogativi principali di questa storia: le condizioni delle navi quella sera, la dinamica dell’incidente, lo sviluppo dell’incendio, i tempi di sopravvivenza a bordo, l’eventuale esplosione (di una bomba oppure no) nel locale motori di prua prima della collisione.

Una cosa è certa, assicurano fonti vicine alla commissione: il lavoro non sarà lasciato a metà. L’esistenza della commissione d’inchiesta, infatti, è legata alla legislatura, ma in caso di elezioni anticipate – viene spiegato – ci sarà il tempo, il modo e la possibilità di arrivare a una relazione conclusiva che conterrà molti elementi emersi durante la raccolta di documenti e di testimonianze, con decine di audizioni, alla quale la commissione si è dedicata dal dicembre 2015.

Nella seconda relazione, intanto, oltre alla nebbia, la commissione segna altri punti fermi. Il primo: l’accensione dei cosiddetti cappelloni di prua. Sono dei grossi fari che col buio permettono alla plancia di comando di vedere il ponte della parte anteriore della nave. La Procura di Livorno nel 2010 scrisse nelle conclusioni che portarono all’archiviazione che erano la prova che c’era la nebbia, ma sarebbe illogico come accendere gli abbaglianti in auto. Per giunta, appunto, la luce dei cappelloni punta in basso, non in avanti. E questa è l’obiezione della commissione. “L’accensione dei cappelloni – si legge nella relazione – potrebbe rinviare all’ipotesi che prima della collisione a bordo del traghetto, verso prua, possa essere avvenuta un’esplosione o altro evento comunque inatteso”. Sull’esplosione nel locale eliche di prua si concentra appunto una delle perizie, affidate all’esplosivista dell’esercito, il maggiore Paride Minervini.

Il secondo: il tragitto della petroliera Agip Abruzzo, che quella sera era all’ancora davanti a Livorno in attesa di entrare in porto la mattina dopo. Come ilfattoquotidiano.it ha scritto un anno fa, gli spostamenti della nave armata dalla Snam non sono mai stati chiari del tutto. Arrivò a Livorno, per esempio, dopo un’anomala traversata a ritmo forsennato, apparentemente senza motivo. E la commissione conferma: “Si è profilata l’ipotesi che la petroliera abbia compiuto un percorso diverso: secondo alcuni auditi, come riportato nella prima parte della relazione, avrebbe attraccato temporaneamente in Sicilia”. Anche su questo continuerà a indagare la commissione. Uno dei punti oscuri della ricostruzione della tragedia del Moby, infatti è che nessuno ha mai analizzato quanto greggio e di che qualità ci fosse nelle cisterne dell’Agip Abruzzo e in particolare nella 7, quella speronata dalla prua del traghetto. Tutti – magistrati e Capitaneria comprese – si fidarono di un’autocertificazione, quella del comando della petroliera e dell’armatore, la Snam, società di Stato. Era greggio di tipo “iranian light” e ce n’erano 82mila tonnellate, si leggeva in quelle carte. In particolare nella cisterna 7 ce n’erano circa 2600. Ma nessun consulente esterno ha verificato dopo la tragedia se fosse davvero così. Perché verificarlo? Se ci fosse stata un’altra quantità (di meno o di più di quanto dichiarato)? Se fosse stata un’altra qualità di petrolio, magari con effetti più devastanti in caso di incendio?

Terzo punto: l’Agip Abruzzo non disse mai alla radio che l’altra nave coinvolta nell’incidente era un traghetto. E questo rallentà l’identificazione del Moby Prince (“scoperto” solo un’ora e venti minuti dopo) e quindi i soccorsi. A bordo dell’Agip si sapeva che era un traghetto, ma non venne mai comunicato alla radio, alla Capitaneria. La commissione sottolinea “il senso e la forza di affermazioni (dei marittimi della petroliera auditi al Senato, ndr) secondo cui la percezione del coinvolgimento di una nave passeggeri sia avvenuta fin dai minuti immediatamente successivi alla collisione”. “In questa fase – precisano i senatori – non furono date informazioni precise ai soccorritori da parte del comando della petroliera per segnalare la nave in fiamme”. C’è chi – tra i marinai della petroliera – ha parlato di “finestroni” che ha visto sull’altra nave. Qualcun altro ha puntualizzato che comunque le comunicazioni radio si svolgono sempre sotto la responsabilità del comandante. Ma Renato Superina, capitano dell’Abruzzo, è morto nel 2011: non sarà lui a poter confermare.