Cultura

Attacco alla fantasia, a proposito di iconofobia cristiana e pagana

Nel 1868 Marcelino Sanz de Sautuola e sua figlia di otto anni scoprivano il soffitto dei bisonti di Altamira. La bimba era riuscita a infilarsi nel cunicolo che portava alla grotta e si era messa a gridare “Toros, toros!”, appena avvistati gli animali affrescati in colori vivi, rossi, gialli. Sanz de Sautuola comunicava la scoperta, intuendo che quei graffiti risalissero alla preistoria più antica. Sanz de Sautuola veniva dunque accusato di truffa e di aver commissionato a pittori moderni, rappresentazioni faunistiche e figure immaginarie metà uomo e metà animale. Positivisti e religiosi non potevano accettare che quelle splendide pitture fossero opera degli avi nella preistoria.

Il 18 agosto 2015, l’archeologo siriano Khaled al-Asaad veniva assassinato dai miliziani dell’Isis perché ritenuto custode di idoli, direttore di idolatria. Si era rifiutato di indicare ai suoi aguzzini i luoghi in cui erano stati nascosti importanti reperti romani per sottrarli alla loro furia iconoclasta. L’archeologo moriva per la sua terra, alla quale aveva dedicato una vita di studi, terra dal passato multiculturale per millenni politeista e tollerante che, qui come in altre aree del Medio Oriente, i jihadisti vorrebbero cancellare dalla storia. La dimensione psichica, un mondo interiore ricco di immagini, emozioni, fantasia: i fondamentalisti dimostrano di non tollerare neppure il minimo riferimento a tutto ciò.

Il linguaggio silenzioso delle immagini è sempre stato guardato con sospetto dai tre monoteismi. E in ogni caso considerato inferiore, rispetto a quello cosciente e articolato che si esprime attraverso la phoné (…). Religione e ragione sembrano essere sempre andate perfettamente all’unisono nel condannare la realtà umana non cosciente, la capacità di immaginare. Ancora oggi, nel nuovo millennio, lo dimostrano palesemente gli attacchi dell’Isis al patrimonio storico-artistico preislamico del Medio Oriente, messi in atto lucidamente dai fondamentalisti wahabiti”. Questo è quanto viene raccontato e sostenuto da Simona Maggiorelli nel suo libro Attacco all’arte. La bellezza negata.

L’odio verso le immagini caratterizza tutti e tre i monoteismi, fin dall’ebraismo. Per chi si pensa popolo eletto, unto da dio o il più vicino alla verità, tutti gli altri popoli sono infedeli da combattere. E tutto quello che è esistito prima della ‘rivelazione’ deve essere annientato. La rappresentazione della figura umana e addirittura la rappresentazione degli dèi in forma antropomorfica erano comuni a molte civiltà antiche, da quelle della Mesopotamia agli Egizi ai Greci e agli altri popoli del Mediterraneo. Il divieto delle immagini cultuali risalirebbe alla cattività babilonese degli ebrei (587-538 a.C.) e costituì una frattura rispetto alla vita culturale del Vicino Oriente antico.

Soprattutto perché ben presto passò dall’aniconismo alla iconoclastia antipagana e all’iconofobia, rivolta al proprio interno. Nella Bibbia, si possono trovare inviti espliciti all’iconoclastia: “Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco” (Deuteronomio 7,5-2,5). E il dio dell’Esodo tuona: “Io sono il Signore, questo è il mio nome, non cederò ad altri la mia gloria, né il mio onore agli idoli” (Isaia 42,8). Mosè di ritorno dal Sinai trovò il suo popolo in adorazione del vitello d’oro e, come dice sempre il libro dell’Esodo, non trattenne la sua furia e con altri ‘giusti’ che si schierarono con lui uccise tremila infedeli”.

Sotto lo stimolo del recentemente scomparso psichiatra Massimo Fagioli, Maggiorelli vuole raccontare come la creazione di immagini fosse antropologicamente fondativa di homo sapiens e come le donne fossero state le prime a creare pitture rupestri del paleolitico. “Viene da pensare che le donne nella preistoria passassero molto tempo dentro la caverna. Nelle pitture rupestri, c’è una inutilità totale, è l’esigenza di un’espressione. La pittura emerge quando la madre gioca con il bambino e sporca le pareti. L’iconoclastia è legata a tutto questo”.

Nell’intervista di Maggiorelli allo psichiatra, emerge anche come la donna andasse cancellata in quanto immagine interiore, a partire dalla sua capacità creativa, quella di fare figli, che la distingue nettamente dall’uomo. Da lì una reazione violenta: “La violenza diventa massima nell’iconoclastia cristiana, tra il 726 e il 787. Secondo la Bibbia, Aronne, con gli israeliti, si mise ad adorare il vitello d’oro e, per questo, furono ammazzate centomila persone. Il culto delle immagini, dicevano, è idolatria. Cioè non distinguono l’oggetto fisico, materiale, dall’immagine. E qui c’è la grande storia nostra, perché non c’è stata mai la differenza, non è mai stata fatta nella storia: occorre distinguere nettamente la figura del ricordo cosciente dalla creazione dell’immagine mentale”.