Politica

Pd, Renzi come Sansone. Ma i democratici non sono Filistei

Muoia Sansone con tutti i Filistei!”, gridò Sansone prima di far crollare il tempio sulla testa dei Filistei e morire con tutti loro. Ma può davvero Renzi somigliare all’eroe biblico?

Una semplice analisi dei fatti fa emergere che Renzi ha davvero qualità straordinarie. Le sue armi vincenti sono la perspicacia, il “pragmatismo” e l’azzardo, che lui ha usato però non solo per “rottamare” i D’Alema e i Veltroni, ma anche per confezionare quel tremendo sgambetto che ha fatto rotolare nella polvere sia Prodi (già a un passo dalla conquista del Quirinale), sia Enrico Letta quando era ancora legittimo titolare di Palazzo Chigi.

Atti di tale bassezza etica contro dei leader, benché sostenuti mediaticamente da organi compiacenti (attivi nel compito di giustificare e confondere) vengono accettati alla lunga dal popolo soltanto se vengono accompagnati da programmi di altissimo livello politico o sociale ai quali quei leader opponevano ostacoli. Non pare essere questo il caso. Quindi?

Quindi dopo più di un anno di riforme approvate al ritmo dei fuochi d’artificio, a mezzo di voti di fiducia imposti con la grazia del rullo compressore da una maggioranza artificiale, pompata con il “porcellum”, e accolte dal popolo italico con lo stesso gradimento che qualche secolo prima riservò alla calata delle orde barbariche, sono cominciati ad arrivare i guai per mister Renzi.

Ma lui ha pensato che bastasse osare sempre di più per aver ragione di tutto e di tutti. La moderazione e la prudenza non sono nemmeno nel suo vocabolario. Eppure in tanti (io compreso!) hanno cercato di consigliarlo di evitare quella sciagurata linea di scontro frontale con tutti.

Nell’ultimo anno, dopo la cocente sconfitta delle elezioni amministrative e la facile illusione delle trivelle, non ne ha azzeccata più nemmeno una. È riuscito persino a “toppare”, con la partecipazione all’ultimo banchetto di Obama pochi giorni prima delle elezioni Usa, la scelta del vincitore della grande sfida americana, vinta poi da Trump. Ma questa è proprio l’unica “toppa” di cui Renzi non ha alcuna colpa. Su tutte le altre ci ha sempre messo di suo troppa irruenza, tanta arroganza e immensa insipienza.

Eravamo ancora ai primi di ottobre 2016 e io nel mio post Renzi è un genio ma ora deve fermarsi un attimo e riflettere”, cercavo di consigliarlo a fare l’unica cosa che avrebbe risparmiato a lui e agli italiani il disastro che poi si è puntualmente avverato dopo la sua pesante sconfitta al referendum costituzionale.

Non poteva che finir male. E lo si è capito ancor prima del risultato referendario che continuando su quella strada il suo destino sarebbe stato di trasformarsi da rottamatore a rottamato.

Le sue dimissioni da premier non potevano bastare. Tantopiù che, avendo lui deciso di mantenere la carica di segretario del Pd, che ha la maggioranza in entrambe le Camere legislative, di fatto continuava a controllare sia il Parlamento che una infinità di altri poteri, compreso il potere di esprimere fiducia al nuovo governo guidato da Gentiloni.

A questo punto è diventata evidente la sua pochezza strategica oltre che ideologica. Qualunque politico di quel livello avrebbe capito che la politica migliore per lui sarebbe stata una resa onorevole. Doveva farsi da parte davvero. Invece ha scelto ancora lo scontro frontale, sperando che bastasse nascondersi dietro la classica “foglia di fico” delle formalità regolamentarie (del suo partito) per conservarsi un potere che ormai aveva già perso, e ora rischia di perdere per sempre.

Ora non è più il tempo di discutere se nei tre anni circa del suo governo dell’Italia ha fatto qualcosa di buono o no.

Gli italiani, in gran maggioranza, gli hanno già voltato le spalle.  Ma adesso l’asticella del gradimento si è spostata all’interno del suo stesso partito, e lì la sua posizione è solo apparentemente forte perché un sonoro NO glielo stanno dicendo i maggiori notabili storici del suo stesso partito.

Quegli stessi che solo un anno fa lui scherniva, ora gli si rivoltano contro a ragione, avendo lui guidato malissimo il partito. Ma siccome è un inguaribilmente testardo, cerca di stare a galla appoggiandosi a una maggioranza interna di giovani fedelissimi che si squaglierà come neve al sole appena lui cadrà.

Non è difficile prevedere che se continuerà il suo braccio di ferro nel partito lui produrrà soltanto la disfatta sua e la devastante frattura nel partito che nessuno nel popolo Pd vuole.

Se lui non cede si ripeterebbe la storia del divo Sansone che, piuttosto che cedere a chi con l’inganno l’aveva reso inerme, sceglie di darsi la morte insieme a tutti loro. Con la sostanziale differenza però che qui è lui il despota, i prigionieri sono gli altri.