Politica

Se Grillo si schiera col passato e il Pd è in pezzi, non ci resta che l’astensione?

Quello che sta accadendo sulla scena politica italiana sta assumendo i contorni di un’autentica tragedia, alla quale assiste, attonito, quell’elettorato “di sinistra”, un tempo dotato di passione civile e amore per la politica, che ormai si sposta in massa, invano, a ogni elezione, in cerca di un partito (o movimento) che lo possa rappresentare.

Prima, in tempi ormai lontanissimi, la speranza in un Renzi rottamatore, capace di archiviare i vecchi comunisti e democristiani del Pd così come di svecchiare un partito inabile a leggere il presente, oltre che il futuro. Poi, caduta ogni fiducia in un rottamatore diventato caricatura di un nuovismo privo di ogni identità politica, ideologicamente spostato a destra, promotore di politiche che hanno ulteriormente impoverito la classe media coperte con inutili mance e bonus di ogni tipo, la virata, radicale, verso il Movimento Cinque Stelle. L’unico che appariva in grado di operare una rottura definitiva col peggiore passato, l’unico che sembrava capace di azzerare veramente gli insopportabili privilegi di una casta dura a morire.

Tutto questo, però, non si è (almeno non ancora) realizzato. Il caso Roma ha mostrato, con un’evidenza che solo chi è cieco non vede, le drammatiche lacune dei Cinque Stelle. La carenza di una vera classe dirigente, l’ambiguità ideologica – dove sono realmente schierati? – la fragilità identitaria. Ambiguità e fragilità che hanno avuto la loro massima manifestazione nei giorni scorsi a Roma, con la sindaca simpatizzante sia nei confronti di tassisti che non si fanno scrupolo di paralizzare, anche con violenza, una città per i loro interessi, sia verso gli ambulanti (come quelli al soldo di Tredicine). Persone che si oppongono a politiche liberalizzatrici giuste e necessariechieste dall’Europa, attese dai cittadini che cercano forme di mobilità alternative e accessibili alle loro tasche.Ed altri che vogliono accedere a licenze bloccate da troppi anni nelle mani degli stessi.

Vale la pena di ricordare che noi tutti lavoratori – e parlo anche dei giornalisti – siamo stati esposti ai cambiamenti della globalizzazione, e le ferite sono ben visibili. Ma nessuno ci ha difeso, né ha pensato che i nostri lavori potessero essere sottratti a mutamenti inevitabili che hanno costretto noi a cambiare, senza che nessun sindacato alzasse un dito. Invece il Movimento, o quanto meno una sua parte significativa, così vicino alla Rete e al futuro, si è messo invece a difendere il peggiore passato, senza rendersi conto che centinaia di migliaia di sguardi attoniti lo stavano osservando, chiedendosi chi fossero davvero quelli che hanno votato, coloro in cui hanno sperato.

Cosa resta per l’elettore democratico di sinistra, ammesso che la distinzione ideologica tra destra e sinistra abbia ancora un senso? Se il Movimento mostra tutti i suoi limiti, ciò che sta accadendo al Pd in questi giorni ha dell’inverosimile, anche se ampiamente prevedibile: e la colpa, non c’è dubbio, è sicuramente della fame di potere senza fine di Renzi, che per andare al governo e affermare se stesso, accettando di allearsi con politici impresentabili, ha letteralmente distrutto un partito. Del quale ora restano, appunto, solo macerie.

Cosa fare, dunque: andare con quel pezzo di sinistra che ha fatto la scissione? Per l’elettore democratico è impensabile: sarebbe come rinnegare tutto ciò in cui ha creduto, e tornare a dare la fiducia a quelle persone – come D’Alema – che avrebbe voluto vedere scomparire per sempre. Se Renzi è colpevole, comunque, chi se n’è andato non lo è di meno. Perché ha la responsabilità di aver ulteriormente lacerato un partito, invece di tentare di spingerlo nuovamente su posizioni di sinistra, facendosi forza proprio del fallimento, ormai a tutti visibile, dell’ex premier. Provando a rifondare, in qualche modo, qualcosa che assomigliasse al compromesso trovato dall’Ulivo, una stagione politica purtroppo troppo breve, della quale non si è capito il grande valore (basti pensare al trattamento ricevuto da Romano Prodi). Così, invece, si torna solo indietro, quando Pd e Margherita erano separati. Un secolo fa, mentre il mondo richiede risposte sempre più nuove e complesse.

Cosa resta dunque? Una scena politica completamente frammentata, dove nessun partito riuscirà d’ora in poi a rappresentare una parte maggioritaria del Paese. Chi poteva farlo, ha fallito. Renzi come, in parte, i Cinque Stelle, soprattutto a Roma. Certo, Pd e Movimento non possono essere messi sullo stesso piano, i Cinque Stelle non hanno mai governato sul piano nazionale, eppure simile è il risultato che hanno prodotto – ripeto, specialmente con la gestione Roma, una sola città, ma estremamente simbolica – nell’animo dell’elettore democratico: rabbia, ma anche indifferenza, sicuramente solitudine e tanto scetticismo.

Ciò che accadrà dunque alle prossime elezioni è facilmente prevedibile: un aumento drammatico del partito dell’astensione, l’unico in grado di raccogliere voti. Scioccati dalle macerie politiche che si trovano di fronte, quei cittadini un tempo di sinistra, comunque convinti che la giustizia sociale possa andare di passo con la meritocrazia, faranno l’unica cosa che mai avrebbero creduto di dover fare, violare la prima regola che si erano dati, quella di esercitare sempre l’unico diritto che abbiamo, il voto. Al contrario nelle prossime urne, invece, centinaia di migliaia di schede resteranno piegate. E la responsabilità cade sicuramente su chi ci ha governato negli ultimi tre anni.  Ma anche, in misura minore, di chi siede da mesi in Campidoglio.