Giustizia & Impunità

Milano ‘esotica’. 25 anni dopo Mani Pulite la città si divide sulle palme

Venticinque anni dopo Mani Pulite, un altro anniversario dominato dalle ricostruzioni di comodo, fantasiose, pittoresche e quest’anno persino con tocco di esotismo “grazie” alla scenografia temporanea (già vittima di vandalismo) che domina in piazza Duomo. Per ora ci sono “solo” le palme, ma  presto arriveranno anche i banani, e dunque mancherebbero solo “i fichi d’india”, per tratteggiare plasticamente, in quella che fu “la capitale morale” nonché “la Milano da bere”, la repubblica evocata da Gianni Agnelli negli anni remoti e sempre verdi del secondo governo Berlusconi.

Se Vittorio Sgarbi tra il serio e il faceto ha interpretato il palmeto nel cuore di Milano con esibita soddisfazione come un sottinteso omaggio all'”esule” di Hammamet, commemorato da ultimo con tutti i crismi dell’ufficialità da Angelino Alfano,  l’esigenza di intitolare una piazza o una strada a Bettino Craxi era stata rilanciata come non più rinviabile solo pochi giorni prima dal primo cittadino Beppe Sala.

Molto più rinviabile, forse a tempo indeterminato, era invece sembrata al sindaco, brevemente autosospesosi, per il coinvolgimento nell’inchiesta per corruzione e turbativa d’asta per la piastra Expo, la pubblicazione prevista dalla legge sulla trasparenza del 2013 della dichiarazione dei redditi anche da parte dell’assessore alla Trasformazione digitale Roberta Cocco, manager di Microsoft in aspettativa, che potrebbe decidere sull’aggiudicazione dei bandi a cui la Microsoft punterebbe in quanto fornitore primario del Comune. In merito ai dubbi di Sala sulla correttezza della legge che impone la pubblicazione è dovuto intervenire lo stesso Cantone per ricordare semplicemente che la trasparenza sul reddito degli assessori è disciplinata da previsioni analoghe in tutta Europa. Poi però come se non fosse bastata l’estenuante tira e molla con il pieno appoggio di Sala, quando sono arrivate le cifre relative alla dichiarazione del 2015, quelle particolarmente significative della paretecipazione azionaria in Microsoft a causa di una “svista” si fermavano a 38 mila dollari e solo nel pomeriggio sono risaliti a quota 3 milioni e 800 mila dollari.

Le disavventure di Beppe Sala e di uno dei suoi assessori del tutto oscurate dalle peripezie ben più pittoresche dell'”Oca del Campidoglio”, almeno secondo i media, sono ben poca cosa rispetto ai mali evidenziati da chi, pure da diverse angolature, si misura con la corruzione: eppure l’allergia alla trasparenza e la negazione di un conflitto di interessi più che potenziale non sono le coordinate che dovrebbero regolare l’amministrazione di una città, tantomeno Milano.

Per stare agli interventi di tre magistrati che operano su fronti molto diversi come Piercamillo Davigo già magistrato di Mani Pulite, giudice di Cassazione e ora presidente dell’Anm, l’attuale presidente della Corte dei Conti nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario ed il procuratore Nicola Gratteri se si volesse trovare un minimo comune denominatore sarebbe la progressiva inefficienza dell’amministrazione della giustizia per carenza di mezzi, uomini e mancanza di turn over dinanzi alla pervasività e all’evoluzione della corruzione. Nella sintesi di Piercamillo Davigo il mancato riconoscimento del merito e la precarizzazione illimitata sono una precondizione della parabola involutiva del paese e “nel corso di 25 anni è cambiato poco perché l’attività principale dei vari governi che si sono succeduti non è stata quella di rendere più difficile la corruzione ma quella di rendere più difficili le indagini e i processi sulla corruzione…“. Ed i rimedi più logici come le norme premiali con un sostegno anche economico ai collaboratori di giustizia e l’introduzione delle operazioni sotto copertura sono visti come fumo negli occhi dalla pletora di pseudogarantisti che siede in Parlamento con l’unico obiettivo sul fronte giustizia di difendere chi li ha nominati o li nominerà al prossimo giro, inclusi i loro amici, parenti ed affini, come dimostrano le acrobazie di molti renziani della prima ed ultima ora, riguardo Tiziano Renzi.

Solo due mesi fa Nicola Gratteri, ministro della Giustizia mancato per il veto insuperabile di Giorgio Napolitano che probabilmente l’avrebbe cassato anche se non fosse stato “nell’esercizio delle funzioni”, in una intervista a Il Fatto aveva accusato il governo “di non lottare contro la corruzione” ed i partiti “di essere immobili” spiegando che “prima erano i mafiosi ad andare dai politici con il cappello in mano, oggi è il contrario. ‘Ndrangheta e Cosa Nostra non sparano, basta pagare e gli amministratori si ammorbidiscono come burro”. Per dirla con Di Pietro la differenza fondamentale tra allora ed oggi, tra la Milano che con Mani Pulite aveva ritrovato l’orgoglio della “capitale morale” e quella odierna che diserta gli incontri per i 25 anni da Tangentopoli e si divide su piazza Duomo con palme è che “ai tempi di Mani Pulite l’opinione pubblica considerava i magistrati le guardie mentre i politici corrotti erano i ladri“.

Oggi è più confusa e di conseguenza passiva e rassegnata, in buona parte “grazie” alle “post verità” ovvero le bugie interessate che hanno cominciato ad impazzare su giornaloni e tv passate di lì a poco dall’ oligopolio partitocratico al monopolio berlusconiano: con buona pace dei censori del web.