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Ferrovie, quello degli abbonamenti Alta Velocità è solo l’ultimo dei rincari. Così il gruppo si prepara per la Borsa

Il numero uno Mazzoncini deve macinare profitti per attirare investitori a caccia di cedole. Così presenta il conto ai passeggeri: oltre a spingere sul segmento più redditizio dei treni veloci, man mano che vanno in scadenza i contratti con le Regioni, ritocca al rialzo anche i biglietti dei treni locali

Le Ferrovie dello Stato si preparano a sbarcare in Borsa. E i passeggeri a pagarne il conto. Poco importa che si tratti di Alta Velocità, di Intercity o di trasporti regionali sovvenzionati dalle casse pubbliche. Gli aumenti dei biglietti arrivano inesorabilmente per tutti nonostante il gruppo macini utili (286 milioni nel primo semestre 2016) conquistando il primato di azienda ferroviaria più redditizia d’Europa (indagine Mediobanca). Se, infatti, i pendolari dell’Alta Velocità piangono per gli incrementi sugli abbonamenti (+17,5%) che scatteranno a febbraio, quelli dei regionali certamente non ridono. E, complici le dissestate finanze degli enti locali, subiscono aumenti differenti a seconda delle tratte e degli accordi raggiunti progressivamente dal gruppo con le Regioni. Tutto in nome della redditività delle Ferrovie dello Stato che devono presentarsi nella migliore veste possibile all’appuntamento della privatizzazione di cui potrebbero essere protagoniste solo le Frecce.

“Le opzioni (per la quotazione di Fs) sono ancora tutte sul tavolo”, ha spiegato il capo della segreteria tecnica del ministro Pier Carlo Padoan, Fabrizio Pagani, al Sole 24 Ore del 27 gennaio che chiedeva se il Tesoro avesse deciso di puntare sul collocamento della holding oppure delle sole Frecce. E per questo motivo il gruppo guidato da Renato Mazzoncini deve migliorare le performance aziendali in tutti i segmenti di business con un preciso obiettivo: macinare profitti che attirino investitori a caccia di cedole.

Così, in attesa dello sbarco in Borsa, per i passeggeri è arrivata la stangata tariffaria. Dopo gli aumenti del 4% sugli Intercity varati a ottobre 2016, stanno arrivando anche i ritocchi per i regionali che vanno a segno man mano che arrivano a scadenza i contratti fra Regioni e le Ferrovie. Qualche esempio? In Liguria, il nuovo anno si è aperto con un rincaro del 4% sulle tratte locali in seguito al nuovo accordo siglato a dicembre 2016 fra Fs e la Regione. In Veneto, invece, l’aumento è stato contenuto all’1,5%, mentre nelle Marche la Regione non ha rinnovato gli abbonamenti integrati regionali/treni, che in Umbria hanno subìto un taglio della scontistica. E l’impressione è che l’elenco dei rincari sulle tratte locali sia destinato ad allungarsi ripetendo un copione già visto come testimoniano alcuni dati (2006-2017) raccolti dalla Federconsumatori. L’associazione presieduta da Rosario Trefiletti segnala, infatti, come oggi viaggiare sulla linea regionale fra Milano e Verona costi il 59% in più rispetto a sette anni fa. Destino analogo per la tratta Firenze-Perugia con il prezzo del biglietto aumentato del 57% o per la linea Genova-Bologna (+50%). Senza peraltro che ci sia stato un miglioramento del servizio e senza contare che, da agosto, i biglietti dei regionali sono anche meno flessibili perché utilizzabili solo nelle quattro ore successive alla convalida ed esclusivamente per il giorno prescelto per l’acquisto.

Dal canto suo, Ferrovie si difende ricordando che le tariffe dei regionali sono legate a doppio filo con i contributi degli enti locali e che comunque i biglietti dei treni in Italia sono fra i meno cari d’Europa. Per questo, dal punto di vista dell’azienda, Fs ha ancora legittimamente spazio per far lievitare le tariffe ai livelli delle altre economie del Vecchio Continente. Principalmente sul trasporto dell’Alta Velocità per il quale il gruppo non riceve contributi pubblici ed è quindi tecnicamente libero di varare le proprie strategie di prezzo. Abbonamenti inclusi. Tuttavia per la Federconsumatori e il Comitato nazionale pendolari Alta velocità le cose non stanno in questi termini, perché Trenitalia svolge un servizio di pubblica utilità non solo con i regionali e gli Intercity, ma anche con i treni veloci per i pendolari. Anche perché “ad oggi tutti i collegamenti fra le grandi città sulla cosiddetta rete forte (ovvero sulle tratte di collegamento tra le città di Torino/Milano, Bologna/Firenze, Firenze/Bologna, Napoli/Roma) hanno visto la sostanziale riduzione se non eliminazione del trasporto tramite treni oggetto di contratto di servizio pubblico”, si legge nell’esposto per “abuso di posizione dominante” presentato dall’associazione guidata da Rosario Trefiletti e dal Comitato pendolari AV al Garante della concorrenza e del mercato.

Per Federconsumatori, questa strategia di Fs ha infatti creato un mercato dei pendolari sulle tratte dell’Alta Velocità che sono il segmento più redditizio per le FS. “Si stima – infatti – che tra il 2009 (anno di avvio della rete e dei moderni servizi Alta Velocità Italia) ed il 2012 la quota modale di Alta Velocità sia aumentata del 39% (dovuta principalmente ad una trasposizione dei clienti IC e Pendolino sui nuovi servizi AV delle Frecce della sola IF Trenitalia) al 54%”, chiarisce la relazione al Parlamento sull’attività svolta dall’Ufficio per la Regolazione dei Servizi Ferroviari negli anni 2012/2013. La situazione si è poi consolidata per effetto di una scarsa concorrenza “negli orari di pendolarismo” consentendo alle Ferrovie di fare il bello e il cattivo tempo sulle tariffe con “prezzi discriminatori (…) volti unicamente ad una massimizzazione dei profitti, resa possibile da una posizione di monopolio sul mercato”.

Di qui la decisione dell’associazione dei consumatori di chiedere al governo l’apertura di un tavolo di discussione con pendolari e passeggeri dell’Alta velocità per parlare del futuro dei treni veloci e della loro funzione di pubblica utilità. Il tema è particolarmente importante non solo per i passeggeri, ma anche per gli investitori che dovranno decidere se puntare sulle Ferrovie sulla base di proiezioni di redditività. Stime che, come insegna in parte il caso Poste, passano per aumenti delle tariffe e tagli dei costi, oltre che per l’ampliamento del giro d’affari.