Economia

Brasile, la recessione continua: verso 20 anni di austerity, giornate lavorative di 12 ore e età pensionabile più alta

Il presidente Temer ha annunciato una riforma che legherà i salari alla produttività e aumenterà di quasi 10 anni i requisiti per la pensione. Questo mentre erano già in corso proteste di piazza contro la decisione di congelare per un ventennio la spesa pubblica, con effetti negativi su sanità e istruzione. Il pil nel 2016 è calato del 3,4% e la maxi inchiesta per corruzione continua ad allargarsi

È stata definita dal presidente brasiliano Michel Temer “un grande regalo di Natale” la proposta di riforma del mercato del lavoro annunciata dal governo qualche settimana fa. Un’iniziativa che si andrà a inserire nel quadro complessivo di grandi cambiamenti che attende il Paese sudamericano. A metà dicembre il Senato ha infatti dato il via libera a una modifica della Costituzione che si tradurrà in un congelamento della spesa pubblica per i prossimi 20 anni. Come dire che gli investimenti in sanità e istruzione resteranno al palo. Gli ultimi dati rilasciati dalla Banca centrale non sono confortanti (anche il 2016 si chiuderà con un pil in calo del 3,4% e sarà il terzo anno di recessione) ed è sempre più acuta la crisi economica e sociale che attraversa il Paese, dopo l’impeachment subìto dall’ex presidente Dilma Rousseff e le inchieste per corruzione che si moltiplicano senza sosta tra le elite politiche e imprenditoriali.

12 ore di lavoro al giorno e innalzamento di nove anni dell’età per la pensione – Incremento delle ore lavorate da 8 a 12 al giorno, per un massimo di 48 a settimana e fino a 220 al mese, e una più ampia flessibilità nelle negoziazioni contrattuali, con un intervento minimo del governo e maggiore libertà alle intese tra datori di lavoro e occupati per quanto riguarda salari (che saranno legati alla produttività), pause e vacanze. Ma anche e soprattutto la correzione dei criteri pensionistici: con l’attuale sistema i brasiliani possono cessare la propria attività dopo 30 anni di lavoro, che oggi significa in media 54 anni di età. La riforma proposta da Temer fisserà a 65 anni l’ingresso nell’età pensionabile, anche oltre i 30 anni di attività, sollevando non poche criticità: in alcune regioni del Brasile l’aspettativa di vita va mediamente poco oltre i 65 anni, mentre chi è alle prese con lavori usuranti, spesso intrapresi in giovane età, sarà costretto a lavorare molti anni in più prima di poter usufruire della pensione.

Proteste di piazza contro il piano di austerità di Temer – Una riforma che con ogni probabilità non gioverà alla popolarità del governo, arrivata a livelli di guardia già all’inizio di dicembre. L’ultima rilevazione dell’istituto di ricerca Ibope, commissionata dalla locale Confindustria, è stata condotta tra l’1 e il 4 dicembre e ha evidenziato che solo il 13% della popolazione considera “ottimo o buono” l’esecutivo guidato da Temer, che è invece “cattivo o pessimo” per il 46 per cento. Un netto peggioramento rispetto alla rilevazione di ottobre, che aveva visto il  39% della popolazione bocciare il governo appena insediato. Non solo: il 64% dei cittadini brasiliani disapprova il modo di governare del presidente – era il 55% tre mesi fa – e ben il 72% dichiara di non avere fiducia dello stesso Temer. Pochi giorni dopo la rilevazione, migliaia di brasiliani sono scesi in piazza per contestare le misure di austerity annunciate dal presidente, che andranno a incidere nella politica economica e sociale del Paese almeno per i prossimi 20 anni. Le proteste sono deflagrate in maniera violenta nella capitale Brasilia e almeno in una dozzina di Stati, con assalti alla tv locale Globo ritenuta filogovernativa, respinti dalla polizia in assetto antisommossa.

Paese stretto tra recessione, calo delle vendite e spesa pubblica al palo – Le modifiche alla Costituzione andranno a fissare un tetto alla spesa pubblica, legando la possibilità di investimenti pubblici al tasso di inflazione dell’anno precedente, con una netta sforbiciata a settori dell’economia brasiliani con un grosso impatto sulle fasce povere della popolazione, dall’educazione alla sanità. Per la sicurezza sociale il Brasile utilizza il 40% della spesa pubblica, che vale, secondo le stime del governo, il 2,7% del pil, dallo 0,3% del 1997. Gli ultimi dati segnalano per il 2016 un pil negativo del 3,4%, e la Banca centrale ha più volte ridotto le previsioni di crescita per il 2017, oggi allo 0,8 dal precedente 1,3%, mentre la World Bank stima un ancor più pessimista 0,5 per cento. La recessione, che sta per entrare nel terzo anno consecutivo, ha avuto un deciso impatto sulle spese dei brasiliani, e le stime per l’ultimo Natale parlano di una riduzione delle vendite rispetto al 2015 del 4,8 per cento. Per la prima volta dal 2004, lo scorso anno gli esercizi commerciali che hanno chiuso sono stati più di quelli di nuova apertura, con un calo generale delle vendite del 9 per cento. Inevitabile una complessiva riduzione dei prezzi, compresi quelli dei beni alimentari, e dunque l’inflazione, che lo scorso anno si è assestata al 6,3%, dovrebbe fissarsi nell’anno in corso attorno al 4,5 per cento. Anche per questo la Banca centrale ha appena tagliato il costo del denaro per la terza volta consecutiva, portando il tasso di riferimento dal 13,75% al 13 per cento. La riduzione di 75 punti base è la maggiore effettuata in quasi cinque anni e ha sorpreso anche il mercato finanziario locale, che si aspettava un taglio dello 0,50 per cento.

 

La maxi inchiesta per corruzione sfocia in multe miliardarie. E coinvolge anche il presidente – Altrettanto preoccupante appare il calo degli investimenti, lo scorso anno crollati dell’11,2 per cento. Oltre alla delicata situazione economica, hanno su questo fronte un ruolo importante l’incertezza politica e le infinite inchieste per corruzione. L’operazione Lava Jato, vale a dire Autolavaggio, ritenuta la più grande operazione anti-corruzione nella storia del Brasile, e che ha sollevato uno stratificato sistema di tangenti attorno all’azienda petrolifera statale Petrobras è in corso dal 2014, e continua a riservare sorprese. Nel quadro di questa inchiesta, le indagini si sono condotte anche verso il gruppo Odebrecht, conglomerato delle costruzioni, che poche settimane fa è stato riconosciuto colpevole dal dipartimento di giustizia statunitense di aver guidato un cartello di società attive nel settore delle costruzioni e dovrà pagare una multa di 2,6 miliardi di dollari, che per l’80% sarà versata alle autorità brasiliane. Secondo le autorità i costruttori hanno versato 800 milioni di dollari di tangenti a politici di tre continenti per ottenere appalti pubblici, compresa la costruzione dello stadio di San Paolo, usato per la partita inaugurale dei mondiali di calcio di due anni fa. L’inchiesta ha coinvolto anche lo stesso Temer, il quale ha negato di aver ricevuto 3 milioni di euro da Odebrecht. E nell’ambito della stessa inchiesta le autorità Usa hanno inoltre trovato un accordo con un’altra società brasiliana, la petrolchimica Braskem, che avrebbe pagato tangenti a un manager Petrobras. Braskem ha accettato di pagare una multa di 957 milioni di dollari.