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Università, “eccellenza mondiale solo per meriti individuali. Così la ricerca italiana resiste (per ora) ai tagli”

E' questa la fotografia dell'ultimo rapporto biennale dell'Anvur, l'Agenzia nazionale di valutazione. Anni di tagli a risorse e personale hanno messo in ginocchio le realtà accademiche del nostro Paese, ma le pubblicazioni continuano a crescere e a rappresentare una fetta consistente della produzione internazionale, mantenendosi sopra la media europea. Ma l'iniziativa dei singoli non basta più: il buon numero di lavori scientifici italiani è comunque in netto calo rispetto al passato

La ricerca italiana è ancora viva. Nonostante anni di tagli alle risorse e al personale che hanno messo in ginocchio le università del nostro Paese: meno fondi, meno docenti. Ma le pubblicazioni continuano a crescere e a rappresentare una fetta consistente della produzione mondiale, mantenendosi sopra la media europea. La domanda però è: fino a quando? L’Italia resta praticamente ultima in Europa per spesa del Pil in istruzione terziaria (peggio fanno solo Ungheria e Lussemburgo) e in ricerca e sviluppo (18° posto fra i Paesi Ocse). Infatti nell’ultimo triennio la crescita dei lavori scientifici ha già mostrato un forte rallentamento rispetto al passato.

“SISTEMA SOTTOFINANZIATO” – I dati sono contenuti nell’ultimo “Rapporto biennalesullo stato del sistema universitario e della ricerca” elaborato dall’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione. Tanti numeri, tante ombre e qualche luce: ad esempio lo stop all’emorragia di immatricolati che si era osservata a partire da metà anni duemila; una parziale inversione di tendenza rispetto alla stagione dei tagli selvaggi (in particolare dell’era Gelmini), o i buoni risultati raggiunti a livello internazionale nella produzione scientifica. Il quadro generale, però, resta negativo. Soprattutto sul piano economico: “Il sistema, già sottofinanziato nel confronto internazionale, dal 2008 ha subito una forte contrazione dei finanziamenti”, spiega il dossier. Né la situazione sembra destinata a cambiare in futuro: “Anche per il 2016 il finanziamento statale delle università si assesta su valori di poco superiori a quelli del 2015”, passando da 7,25 miliardi di euro a 7,34 miliardi, “valori simili a quelli del 2013 e 2014, ma lontani dal massimo raggiunto nel 2009 di 8,44 miliardi”. Una risposta implicita anche ai proclami di governo e ministero sull’ultimo Piano nazionale di ricerca, presentato come “rivoluzionario” e invece sostanzialmente identico ai precedenti, almeno dal punto di vista delle risorse.

LA RICERCA TIENE – Ciononostante, la ricerca continua a tenere il passo. Nel periodo 2011-2014, la quota italiana sul totale delle pubblicazioni mondiali si attesta complessivamente al 3,5%, non troppo distante da Francia (4,2) e Germania (5,8), i principali competitor europei, e meglio della Spagna (2,9). Tanta ricerca e ricerca di qualità: la quota di lavori pubblicate su riviste eccellenti è infatti superiore alla media mondiale. L’Italia registra poi valori molto alti di produttività in relazione al numero di ricercatori attivi: 3,65 pubblicazioni per ogni ricercatore, meglio di Spagna e Germania. Tre aree in particolare spiccano per lavori di eccellenza: Energia, Smart communities e Fabbrica intelligente. Attenzione, però: i primi segnali di difficoltà del sistema sono già evidenti. La produzione scientifica italiana dal 2011 al 2014 è cresciuta del 4%, in netto calo rispetto al passato: il tasso era stato del 5,8% tra il 2004 e il 2010, e addirittura del 7,4% a inizio anni duemila. Nell’ultimo decennio la crescita si è quasi dimezzata.

DOCENTI RIDOTTI ALL’OSSO – La colpa è anche e soprattutto dei soliti tagli all’istruzione. Nell’ultimo quinquennio sono diminuite le risorse e pure il personale umano a disposizione delle università: a seguito dei provvedimenti di blocco del turnover, il numero complessivo di docenti di ruolo a disposizione degli atenei (tra ordinari, associati e ricercatori) è passato dalle 62.753 unità del 2008 alle attuali 54.977, con un calo netto del 12%. “Nemmeno il piano straordinario 2016 che prevede il reclutamento di 861 nuovi ricercatori di tipo B riuscirà a modificare questa configurazione”, avverte l’Anvur. E questo “rappresenta un indebolimento della capacità didattica dell’intero sistema universitario”. Per il momento, però, non ancora della ricerca. Anche se il merito dei suoi risultati non è certo del governo.

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