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Quantitative easing: più soldi in tasca favoriscono i consumi o i debiti?

di Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia

Un anno fa Mario Draghi lanciava il Quantitative easing, programma d’acquisto di titoli, inizialmente da 60 miliardi al mese, che avrebbe dovuto riportare l’inflazione verso un obiettivo vicino al 2%La riflessione oggi si concentra su cosa ha funzionato o meno durante quest’anno di Qe. Secondo il parere di diversi economisti, il programma ha avuto successo nel contrastare un ulteriore peggioramento della deflazione, ma non nel raggiungere l’obiettivo di crescita dei prezzi, sul livello che il mandato affidato alla Bce indica in una dinamica vicina al +2% nel medio termine; infatti dai dati Eurostat, l’inflazione è risultata in negativo a febbraio, marzo ed aprile. Quel che preoccupa è che difficilmente l’ulteriore espansione del programma offrirà sufficienti stimoli all’inflazione.

Perché le aspettative di inflazione sono così importanti? Più sono basse, più possono spingere al ribasso gli investimenti e avere un effetto negativo sulle dinamiche salariali riducendo la domanda aggregata, oltre a rialzare il tasso di interesse reale sui debiti, con effetti negativi sui soggetti indebitati (siano essi pubblici o privati). I tassi bassi però non hanno effetti soltanto negativi. Oltre al bilancio pubblico, anche quello delle famiglie ne ha tratto beneficio. Inutile ricordare che gli spread ai minimi hanno abbassato le rate dei mutui e i costi dei finanziamenti. Male invece gli investimenti che sono ancora inferiori del 15% ai livelli ante-recessione. La teoria finanziaria assume che tassi di interesse negativi incoraggiano le banche a prestare i soldi a tassi più bassi e i risparmiatori ad aumentare i consumi, spingendo in giù il tasso di cambio, anche perché verrebbe scoraggiato l’afflusso di capitali dall’estero.

Ma la realtà delle cose non appare del tutto come previsto sui libri. Il credito e i consumi non stanno aumentando adeguatamente, le variazioni nei cambi o non sono significative o non hanno grandi conseguenze. Si potrebbero aggiungere all’elenco anche un basso livello di investimenti pubblici e privati, un basso livello di aumento della produttività, dei salari stagnantiLa Banca Centrale Europea sta utilizzando i mezzi a disposizione a più non posso, ma i provvedimenti presi a marzo, di una portata apparentemente eccezionale, non hanno prodotto gli effetti sperati. E allora, in questo scenario c’è chi ha pensato: «Ma se anziché foraggiare le banche, foraggiassimo direttamente le famiglie e le imprese, a parità di sforzo economico?» La cinghia di trasmissione tra Bce, banche, imprese e famiglie non è fluida e si sta diffondendo pertanto l’attenzione su un provvedimento, proposto da Milton Friedman alla fine degli anni Sessanta, consistente nella produzione di denaro dalla banca centrale e nel suo trasferimento direttamente alle famiglie, proprio come se fosse denaro lanciato da un elicottero.

Un trasferimento diretto di denaro avrebbe, secondo Friedman, l’obiettivo di indurre la gente a spendere più liberamente e quindi riportare l’inflazione verso l’alto. L’idea venne poi fatta sua da Ben Bernanke, ex governatore della Fed americana, che lo definì “Helicopter money”. L’elicottero monetario prevede di superare i passaggi intermedi per arrivare direttamente all’utilizzatore finale, a patto che diventi anche il consumatore finale. Perché uno dei punti critici è proprio questo: la maggiore liquidità in tasca produrrebbe nuovi consumi o minore indebitamento? L’obiettivo da centrare è proprio questo: spendere per rilanciare i consumi. L’ipotesi potrebbe sembrare stravagante, ma diversi esperti studiano la questione da tempo e la trovano plausibile. La distribuzione di moneta potrebbe avvenire o direttamente, lanciandola metaforicamente da un elicottero, o indirettamente, finanziando un aumento in deficit della spesa pubblica o una riduzione delle tasse. Oggi, l’idea che l’helicopter money possa rappresentare la soluzione finale al problema della deflazione si è posizionata al centro del dibattito economico.

Un dibattito che sta coinvolgendo la comunità dei banchieri centrali, dividendola tra coloro che vedono nel “finanziamento monetario dei programmi fiscali” una proposta percorribile e coloro che invece la rifiutano a priori. Il governatore della Bce, Mario Draghi, sembra invece stare nel mezzo. Nel corso di una audizione al Parlamento europeo, l’ha definita un’idea intellettualmente affascinante, ma impraticabile nel contesto istituzionale europeo, in quanto il finanziamento monetario esplicito del deficit pubblico è infatti vietato dai Trattati europei. Il governo Renzi, a suo modo, ha già fatto ricorso all’helicopter money con l’operazione 80 euro. Ma per ora con scarsi risultati che si ritiene siano da imputare all’erronea individuazione della platea di beneficiati dal provvedimento. Rivolto a dipendenti con soglie di reddito prestabilito, non va a agevolare coloro situati invece sotto tale soglia, che avrebbero, secondo le teorie classiche del consumo, una propensione marginale alla spesa molto maggiore. Ed infatti, assistiamo ad un aumento delle giacenze sui conti presso le banche. Il bonus non viene speso ma accantonato nel timore di nuovi eventi negativi.

Altre obiezioni vengono formulate da una corrente diversa di pensiero. La prima riguarda il pericolo che tale misura scateni un forte livello di inflazione; si può rispondere che nell’attuale situazione deflazionistica questo può essere un fatto positivo, purché ovviamente non si abusi della misura. D’altro canto, in un’economia mondializzata, nella quale i paesi low cost a manodopera abbondante sono legioni, l’esplosione dei prezzi dei prodotti non appare più possibile. La seconda è quella che, in certi paesi, mentre la domanda verrebbe stimolata, si creerebbero forti pressioni sulla bilancia dei pagamenti, nel senso che in quelli industrialmente meno avanzati una parte consistente del bottino verrebbe usato in larga parte per acquistare merci estere. L’eventuale attuazione del piano, ci dirà chi ha ragione e perché.