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Governo Renzi, Mucchetti: “Basta norme ad bancam, Lotti stia lontano dalle Bcc”

Il capitalismo di relazione si è adeguato al renzismo? Il senatore Pd: "E' viceversa. Quando sei all'orecchio di Marchionne, Messina e De Benedetti, quando vuoi dare la cyber security al tuo amico, stai costruendo anche tu la tua rete di relazioni"

Una riforma “ad bancam“. Il senatore del Pd Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria, parte da qui per una diagnosi sul rapporto tra il renzismo e quelli che una volta si chiamavano “poteri forti”. Spiega Mucchetti: “La riforma delle Bcc serve perché queste non sono riuscite a costituire il fondo di garanzia comune prima della Vigilanza unica europea e del bail in. Ma la facoltà di chiamarsi fuori (way out) dal credito cooperativo e trasformarsi in Spa pagando un balzello rischia di indebolirla, un precedente insidioso per l’intera cooperazione”.

Quali sono i rischi?
Non capisco come la cooperativa ex Bcc possa esercitare lo scambio mutualistico che ne giustifica l’esistenza. Ma se i soci hanno nuove idee, trasformino la Bcc in Spa riversando ai fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione le riserve accumulate in esenzione d’imposta e facciano un aumento di capitale.

Come avverrà la trasformazione in Spa?
Due sono le strade previste dal governo: la Bcc si fa in Spa con i soci attuali che mettono le mani sulle riserve indivisibili, ma sarebbe una rapina; la coop di credito che scorpora la banca in una Spa di cui sarebbe l’azionista. Ma alla banca ex Bcc mancherà il 20% del patrimonio dopo l’imposta sostitutiva. E la coop ex Bcc rischierà che la scomparsa dello scambio mutualistico porti alla sua liquidazione. Si può aggiornare la legge Basevi sulla cooperazione, ma non con norme ad bancam.

In che senso ad bancam?
Le way out rispondono alle richieste dei vertici di tre Bcc con patrimonio superiore ai 200 milioni: la Cassa Padana di Leno, la Bcc di Cambiano e Chianti Bianca, quella che si è presa in carico il fallimento del Credito fiorentino di Denis Verdini. Renzi tuona contro le banchette, trasforma in Spa le popolari con almeno 8 miliardi di patrimonio e poi favorisce la nascita di micro Spa da 200 milioni. Dove è la coerenza?

Forse nel fatto che il papà del sottosegretario Luca Lotti è un dirigente della Cambiano il cui presidente è marito della senatrice renziana del Pd Laura Cantini.
Laura è una senatrice di valore, si comporterà come si comportano i parlamentari in conflitto di interesse. Lotti, invece, ha le mani in pasta. Rischia di ridurre la questione a un affare da compagnucci della parrocchietta.

Non ci sono solo i compagnucci. Per la presidenza di Chianti Banca è pronto un banchiere come Lorenzo Bini Smaghi.
La poltroncina è stata offerta a Bini Smaghi un anno fa dal direttore generale di Chianti Banca, Andrea Bianchi, con tanti saluti alla democrazia cooperativa. Mi stupirebbe se Bini Smaghi, presidente della Société Générale, accettasse un incarico strapaesano.

Si parla di un ruolo di Chianti Banca e altre Bcc nel Monte dei Paschi.
Fantasie. Dal governo vengono pressioni su Cassa depositi e prestiti e Intesa San Paolo affinché si prendano in carico la patata bollente.

Quanto bollente?
Mps non è messo male come dice la Vigilanza europea, ma non è un gioiello. Fa bene Intesa a starne fuori. Cdp, poi, avrebbe difficoltà a intervenire. La Vigilanza considererebbe il gruppo finanziario integrato e sarebbero dolori. Cdp è già oggi sotto capitalizzata con 20 miliardi di patrimonio, 30 di partecipazioni e un utile tagliato dal governo. Si capisce sempre meno perché siano stati sostituiti Bassanini e Gorno Tempini…

Accusa il governo di opacità?
Insipiente più che opaco. Vedi il pentimento alle Fs… In Eni ed Enel gli amministratori esecutivi uscenti non possono diventare presidenti perché sarebbero condizionati in un ruolo che esige terzietà. Ora la Cdp e le Fondazioni bancarie devono nominare i nuovi vertici di Snam e Intesa. Ne terranno conto?

Però alla Snam l’ad uscente Carlo Malacarne sarà presidente e il neo direttore Marco Alverà prenderà il suo posto.
Alverà ha lasciato l’Eni con una liquidazione di 6 milioni, mi dicono, e passa a un’altra società del gruppo Cdp. Una holding privata avrebbe risparmiato.

Alverà era il delfino di Scaroni, sodale di Luigi Bisignani. Non era finita quella stagione?
La fuoriuscita di Scaroni dall’Eni aveva indebolito la ragnatela di Bisignani. Che vorrebbe restaurarla.

Un merito di Renzi che sostituì Scaroni con Claudio Descalzi.
Scaroni aveva pranzato a Palazzo Chigi prima di venire in commissione al Senato dove ci furono scintille. Era sicuro di diventare presidente. Credo si senta tradito.

Ma adesso va a Palazzo Chigi a proporsi per l’Ilva.
Scaroni è vicepresidente della Rothschild, advisor di Ilva: potrà essere chiamato dal compratore, non credo possa essere andato a proporsi, ma a illustrare la situazione di Taranto…

Pure Claudio Costamagna, presidente della Cdp, ha buoni rapporti con Bisignani.
Certo, con Bisignani, ma anche con Prodi e, soprattutto, con Andrea Guerra. E proprio Guerra, consigliere di Renzi per un anno, lo ha portato ai vertici della Cdp.

È il capitalismo di relazione che si è adeguato al renzismo?
E viceversa. Quando sei all’orecchio di Marchionne, Messina e De Benedetti, quando vuoi dare la cyber security al tuo amico, non stai costruendo anche tu la tua rete di relazioni?

A Palazzo Chigi c’è di nuovo una merchant bank?
Fatico a vedere in Renzi e Lotti gli epigoni di Cuccia e Maranghi. Leggo però di riunioni fiorentine relative alla nomina del presidente di Intesa che se avessero avuto come registi i Lothar di D’Alema avrebbero fatto scandalo.

È tornato perfino l’ex senatore Pd Nicola Rossi, che sul Corriere si è vantato di avere scritto la way out poi introdotta da Palazzo Chigi nella riforma del credito cooperativo.
Ho apprezzato. Rossi è lo storico consulente della Bcc di Cambiano. La confessione del lobbista è un tributo alla trasparenza. Il problema semmai ce l’ha il governo che si fa scrivere le leggi da un’azienda.

Dal Fatto Quotidiano del 16 marzo 2016