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Rio 2016, l’impeachment e le proteste per i biglietti del bus: l’anno del Brasile che verrà

Abbiamo lasciato O Pais Tropical in maniera burrascosa a fine 2015, ma l’anno nuovo, fatidico per le Olimpiadi imminenti, non promette nulla di buono; il governo petista (da PT, Partido dos Trabalhadores, il partito della presidente in carica Dilma Rousseff) sembra ormai paralizzato dalle proteste popolari, incapace di frenare scandali e repressione poliziesca, che nelle favelas continua a uccidere indiscriminatamente presunti criminali e gente di passaggio.

Sao Paulo e Rio, le metropoli insorgono

Se le “pacificazioni” nei ghetti sono la norma da sempre, e avvengono nella completa indifferenza dei benpensanti, il quadro cambia, quando a scendere in piazza, sono giovani universitari e appartenenti al ceto medio, in prevalenza bianco, che portano le forze dell’ordine a evitare, possibilmente, spargimenti di sangue. Eppure, gli avvenimenti della settimana scorsa, inducono a pensare che questa tendenza potrebbe cambiare in fretta.

Sao Paulo: la città brasiliana più popolosa, 20 milioni di abitanti con le aree limitrofe, detiene il 60% del Produto Interno Bruto (Pib) l’indice della ricchezza nazionale, che equivale al nostro pil. Quello che succede a SP, occupa necessariamente le prime pagine della stampa.

Qui comanda Geraldo Alckmin e la Rousseff può fare ben poco, come si è visto durante lo sciopero generale degli addetti alla metro, che paralizzarono la città alla vigilia dei mondiali di calcio 2014. Il governatore si rifiutò di dialogare con i sindacati, le proteste furono soffocate violentemente e l’erede di Lula fu colpevolizzata per l’incapacità di gestire il mastino paulista.

Il 9 gennaio, 15.000 manifestanti hanno bloccato il centro di Sao Paulo, per protestare contro la nuova tariffa (3,80 real) dei trasporti pubblici. Un aumento limitato; continua però la tendenza progressiva che già nel 2013, aveva causato proteste generali, lungo tutta la nazione, bloccando metropoli come Sao Paulo, Rio, Recife, Minas Gerais, Brasilia, Fortaleza e Manaus, e coinvolgendo quasi due milioni di persone.

Allora, i tumulti furono causati anche dagli sprechi per la costruzione indiscriminata dei nuovi stadi per la Confederation Cup, anteprima dei successivi Mondiali, tra l’altro fallimentari a livello sportivo per la squadra brasiliana. Il crollo del Pib è continuato fino ad oggi; 5% in meno l’anno passato, inflazione ai picchi, taglio del rating da parte delle solite agenzie statunitensi, come Standard & Poor’s. Il flagello delle carte di debito, oggetto del desiderio, sollecitato dalla propaganda per la spesa facile, ha portato la gente a un tale stato d’indebitamento, che la tensione si scatena anche per soli 30 centesimi in più come in questo caso.

La PM (Policia Militar) è andata con mano pesante, lacrimogeni, proiettili di gomma sparati ad altezza uomo, manganellate, pistole puntate in faccia, il solito repertorio. Decine di feriti, arresti a tutta birra. La galleria di foto nel link vale più delle parole.

Rio: la polizia a cavallo ha raggiunto il top della sua pittoresca ferocia, caricando a suon di fendenti di sciabola i manifestanti, scesi nelle strade per lo stesso motivo. Fino al punto che, attirata in una via stretta, sono stati circondati da giovani agguerriti, che hanno fatto imbizzarrire i cavalli, e bersagliato i cavalieri con ogni sorta di oggetti. Sono dovute intervenire le truppe motorizzate per salvare gli agenti. Il video è eloquente.

Impeachment

Non sono le proteste, il problema principale che deve ora affrontare la Presidente in carica. La procedura d’impeachment nei suoi confronti, per i ripetuti scandali, incombe; tra questi spicca, come la punta dell’iceberg, sempre Petrobras, più noto come Lava Jato, il sistema di mazzette ideato dai vertici del colosso petrolifero, per corrompere funzionari governativi, ai fini di ottenere privilegi e concessioni.

Il Parlamento è arrivato a una svolta; lo scontro è ora tra il presidente della Camera, Eduardo Cunha, membro del Pmdb (Movimento Democràtico Brasileiro) principale accusatore di Dilma, e il suo collega di partito, Renan Calheiros, presidente del Senato, il quale ha fatto appello a Stf (iTribunale Federale Supremo) argomentando che una decisione così grave deve essere discussa dal Senato, prima dell’approvazione finale. Cunha ribatte che il procedimento in atto, non può essere alterato dal Senato.

Eduardo Cunha è il classico esempio del bue che dice cornuto all’asino; è indagato per lo stesso schema corruttivo, accusato di aver incassato una bustarella di 5 milioni di dollari dalla Petrobras, in combutta con l’ex presidente, Collor de Mello.

Vero o no, sta di fatto che il suo partito, Pmdb, è coinvolto in un altro scandalo, quello della diga Belo Monte nello Stato di Parà, a causa del quale il Brasile è inquisito dall’Oas (Organizzazione Stati Americani) per violazione dei diritti umani degli indios che vivono ai margini del bacino della diga. Belomonte.webloc

Circa 40.000 indigeni rimossi con la forza, dietro ridicole compensazioni; l’impatto ambientale, dovuto all’emissione di metano per il deterioramento della foresta pluviale, e la deviazione del fiume causata dai canali artificiali, potrebbe ridurre il flusso idrico necessario alle popolazioni residenti, per l’80%. La mazzetta contestata al Pmbd ammonta a 20 milioni di Real (5 di euro).