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Riforme, lo scontro Renzi-Grasso sul Senato dei nominati. Ecco perché il presidente deve riaprire il dibattito

Questione chiusa per il capo del governo e segretario del Pd. Anche perché ci sarebbe già stata la doppia lettura conforme delle due Camere. Di diverso avviso la seconda carica dello Stato. Che si è riservata la possibilità di riaprire i giochi. Con la trattativa in corso per trovare un compromesso sull'articolo 2, numerosi sono i senatori schierati con il numero uno di Palazzo Madama. Ilfattoquotidiano.it ha sentito le loro ragioni

Per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sembra decisamente una questione chiusa. Quasi lana caprina, giacché, a suo avviso, sulla materia si sarebbe già espresso il Parlamento con una doppia lettura conforme. Sull’articolo 2 della riforma del Senato, il cosiddetto disegno di legge (ddl) Boschi, il presidente Pietro Grasso, invece, tira fuori gli artigli riservandosi in Aula la possibilità di riaprire la discussione sui suoi contenuti. Un fatto inedito, secondo il premier, che alla direzione del Partito democratico (Pd) è arrivato a ipotizzare prima la convocazione delle Camere e poi, a gaffe consumata, quella dei gruppi parlamentari del Pd. Naturalmente per fronteggiare le mosse della seconda carica dello Stato. Diventata così bersaglio di attenzioni da più parti censurate come “avvertimenti” inaccettabili. Dai quali Grasso non sembra comunque intenzionato a lasciarsi influenzare: “Non sono né pressioni né minacce, almeno per me. Ne ho vissute ben altre e non hanno mai influenzato il mio comportamento, lo sanno bene tutti.

Ma perché la riapertura del dibattito sui contenuti dell’articolo 2 è così importante? E perché Grasso fa bene a considerarla tanto rilevante? L’articolo in questione, sul quale nelle ultime ore si è aperta una trattativa tra filogovernativi e minoranza dem per trovare un compromesso accettabile, oltre a disciplinare la composizione del nuovo Senato (100 senatori, dei quali 95 “rappresentativi delle istituzioni territoriali” e 5 nominati dal presidente della Repubblica, contro gli attuali 315), contiene, al quinto comma, il punto più spinoso e discusso dell’intero ddl firmato dalla ministra Maria Elena Boschi: il principio della non elettività della futura assemblea di Palazzo Madama. Principio che sta tantissimo a cuore a Renzi, ma che la minoranza del Pd, insieme ai partiti di opposizione (Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega Nord), vorrebbe tanto modificare presentando appositi emendamenti.

Ma il premier non ci sta, appellandosi soprattutto ad una questione procedurale. A suo avviso l’elezione diretta dei senatori è stata “negata dalla doppia (votazione) conforme” di Camera e Senato. Quindi, capitolo chiuso. Solo che, il testo dell’articolo 2, al quinto comma, è stato approvato dai due rami del Parlamento con una sostanziale differenza. Dal Senato, nell’agosto 2014, era infatti uscito così: “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti”. La Camera, invece, a marzo di quest’anno, lo aveva cambiato: “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti”. Insomma, un’intera riforma appesa a due semplici paroline: il “nei” di Palazzo Madama e il “dai” di Montecitorio. Una modifica quasi impercettibile ma di rilevanza fondamentale. Perché, come in molti fanno notare nei corridoi di Camera e Senato,  se il “nei” utilizzato dalla versione approvata dal Senato non esclude l’elezione diretta dei senatori, il “dai” contenuto nel testo licenziato dalla Camera stabilisce, invece, senza alcun dubbio, che i componenti del nuovo Senato saranno eletti dai Consigli regionali.

Questa la materia del contendere. Rispetto alla quale il presidente Grasso ha in mano le armi offerte dal regolamento di Palazzo Madama.  Che in tema di ammissibilità degli emendamenti, all’articolo 104, stabilisce che “se un disegno di legge approvato dal Senato è emendato dalla Camera dei deputati, il Senato discute e delibera soltanto sulle modificazioni apportate dalla Camera…”. Una norma che, secondo la senatrice della minoranza dem, Doris Lo Moro, si applica alla perfezione al contestatissimo articolo 2 della riforma costituzionale. “In particolare, da un punto di vista tecnico, con la modifica del quinto comma, in cui la parola ‘nei’ è diventata ‘dai’, la doppia lettura conforme non c’è stata – spiega a ilfattoquotidiano.it -. Sul piano politico, invece, ciò che più conta è che sia restituita ai cittadini la possibilità di eleggere i senatori“. Un principio, quello della doppia lettura conforme, che, per Lorenza Carlassare, in questo caso non troverebbe neppure applicazione. Perché, secondo la costituzionalista, questo “non vale per le leggi costituzionali, per le quali è prevista la massima riflessione e ponderazione, ma solo per quelle ordinarie”. Quanto al merito della riforma, Carlassare aggiunge: “Se il progetto è quello di dare vita ad un organismo non elettivo, allora non bisogna dargli funzioni costituzionali, con particolare riferimento al procedimento di revisione della Carta. Il rischio è quello di ritrovarci, un domani, con l’impossibilità di modificare quest’ultima per colpa di persone nominate dai partiti”. Considerazione che rafforza le rivendicazioni della minoranza dem. “Stabilire se il Senato è eleggibile o non eleggibile da questo punto di vista  non mi pare una questione di poco conto – aggiunge Federico Fornaro, altro esponente della dissidenza Pd -. E’ giusto perciò che Grasso si ponga il problema della eventuale modifica dell’articolo 2 e non ci sarebbe alcuno scandalo se lo dichiarasse emendabile in tutto o in parte”.

Anche tra i banchi dell’area centrista non mancano prese di posizione a favore del presidente del Senato. “Grasso, per il suo ruolo, ha le prerogative per riaprire il dibattito sull’articolo 2: è nei suoi poteri e ci sono anche i precedenti“, afferma l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro, oggi iscritto al gruppo Gal. Che va oltre lo scontro tra il premier e la seconda carica dello Stato, entrando nel merito della riforma e della sua scarsissima condivisione. “Chi non vuole le modifiche costituzionali proposte da Renzi?”, si domanda. “Non le vuole il M5S che rappresenta il 25% degli italiani; non le vuole la Lega Nord che ne rappresenta un altro 15%; non le vuole Forza Italia che, anche a stare stretti, rappresenta almeno il 10% degli elettori; senza contare Fratelli d’Italia, Sinistra ecologia e libertà e la parte dello stesso Pd che dissente – osserva Mauro -. Tirando le somme più della metà degli elettori è contro il ddl Boschi”. Come uscire dall’impasse? “Se vogliamo evitare la guerra civile – conclude – è bene arrivare ad una riforma condivisa“.

Bene dunque fa Grasso a tenere il punto e a difendere le sue prerogative di fronte all’invadenza di Palazzo Chigi. E’ quello che sostiene anche Sinistra ecologia e libertà. Secondo la senatrice Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto, quello della doppia lettura conforme che ci sarebbe già stata, come sostiene Renzi, è “un bizantinismo tecnico“, anche alla luce del fatto che “su 26 costituzionalisti, 20 si sono pronunciati a favore della modifica dell’articolo 2”. Infine, un amaro rilievo: “Sul ddl Boschi”, conclude l’esponente di Sel, “sono state applicate procedure straordinarie: si è saltato il fondamentale passaggio in commissione Affari costituzionali andando direttamente in aula. A questo punto forse sarebbe meglio abolire il Senato“.

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