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Papa Francesco: “Se un convento lavora come hotel giusto che paghi l’Imu”

La svolta di Bergoglio: "Bene guadagnare dall'accoglienza, ma chi vuole farlo paghi le imposte. In caso contrario il business non è pulito". Secondo stime dell'Anci, le tasse sugli immobili non pagate dalla Chiesa ammontano a circa 800 milioni l'anno. Il governo Monti nel 2012 ha modificato le regole, continuando però a prevedere l'esenzione per chi dichiara di svolgere attività "non commerciale"

Dopo la Cassazione, ora a sostenerlo è Papa Francesco. Bergoglio, con una svolta del tutto inattesa, ha detto che gli enti ecclesiastici che svolgono attività commerciali devono pagare le tasse sugli immobili. “Un collegio religioso, essendo religioso, è esente dalle tasse, ma se lavora come albergo è giusto che paghi le imposte”, è stata la sua frase esatta, in un’intervista alla radio portoghese Renascenca. “Ci sono conventi che sono quasi vuoti e anche lì può esserci la tentazione del dio denaro. Alcune congregazioni dicono: ‘Ora che è il convento è vuoto faremo un hotel, un albergo: possiamo ricevere gente e con ciò ci manteniamo e guadagniamo‘. Bene, se desideri questo paga le imposte. In caso contrario, il business non è pulito“. Pietra tombale, dunque, sulle esenzioni di cui godono le strutture della Chiesa. Che peraltro, ha auspicato il pontefice pochi giorni fa, prima che di fare “business” dovrebbero preoccuparsi di accogliere famiglie di migranti.

Dopo la clamorosa apertura del Papa, starà ora al governo Renzi decidere come intervenire. Il regime fiscale applicato agli immobili ecclesiastici è stato modificato nel 2012, durante l’esecutivo Monti. Che ha imposto il pagamento dell’Imu a quelli che svolgono attività commerciali. La definizione, però, è ambigua e si presta a diverse interpretazioni: come è noto, non di rado anche veri e propri alberghi si presentano al fisco come strutture di accoglienza senza scopo di lucro per ottenere l’esenzione. Per fare chiarezza non è bastato il decreto con le regole su Imu e Tasi per gli enti non commerciali firmato il 26 giugno 2014 dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Secondo quel provvedimento non sono tenute a pagare le scuole private che chiedono alle famiglie rette inferiori ai 6.882 euro annui (pari al costo medio per ogni alunno di scuola statale calcolato dall’Ocse), le cliniche convenzionate e tutti gli enti non commerciali posseduti dalla Chiesa, dalle parrocchie alle università ai musei.

In teoria non sono invece previsti sconti per hotel, bed & breakfast e beauty farm. Ma, appunto, per dribblare la tassa basta dichiarare che l’attività è “non commerciale”. Cioè viene svolta gratuitamente o a prezzi inferiori a quelli di mercato. In più sono esentate anche le strutture che dichiarano di esercitare solo “attività di accoglienza strumentale diretta al culto e alla religione per la quale non è ipotizzabile l’esistenza di un mercato concorrenziale”. Per esempio, si legge nelle Istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione Imu e Tasi, quelle “caratterizzate dalla presenza di luoghi adibiti esclusivamente al culto e dalla programmazione di servizi di alloggio e di refezione con modalità e orari coerenti con lo svolgimento di pratiche di ritiro e di meditazione spirituale, anche in isolamento, così come individuate dalle specifiche dottrine confessionali”. Il risultato è che, secondo le stime dell’Anci, il valore delle tasse sugli immobili non pagate dalla Chiesa ammonta a circa 800 milioni l’anno.

Nel novembre 2014 sulla questione si è espressa la Corte di Giustizia Ue, che ha ammesso nel merito un ricorso presentato da due esponenti del Partito radicale contro una legge varata dal governo Berlusconi che concedeva uno sconto del 100% sull’Ici (l’imposta sostituita nel 2012 con l’Imu) e del 50% sulle tasse sul reddito a alberghi, scuole e cliniche gestite dagli enti ecclesiastici.

A luglio sul tema è intervenuta poi a gamba tesa la Suprema Corte, che ha dato ragione al Comune di Livorno stabilendo che anche le scuole religiose devono pagare l’imposta sugli immobili: “Poiché gli utenti della scuola paritaria pagano un corrispettivo per la frequenza”, recita la sentenza, “tale attività è di carattere commerciale“. Risultato: l’amministrazione ha fatto bene a battere cassa alle scuole Santo Spirito e Immacolata rivendicando 422.178 euro di Ici non versata dal 2004 al 2009. E il fatto che l’attività sia in perdita non esime dal pagamento, visto che qualsiasi azienda privata in rosso deve comunque far fronte ai propri obblighi nei confronti del fisco.