Economia

Buco pensioni, Ufficio bilancio: “Rischio che saltino le previsioni del governo”

L'organismo incaricato di vigilare in modo indipendente sui conti pubblici sottolinea che rimborsare interamente il dovuto renderà molto più difficile rispettare le regole europee su deficit e debito. E il risultato potrebbe essere l'attivazione delle temute "clausole di salvaguardia", cioè l’aumento automatico di Iva e accise

Mentre il governo prende tempo per risolvere l’impasse aperta dalla sentenza della Corte costituzionale sul blocco delle pensioni, ma per bocca del ministro dell’Economia assicura che l’impatto sui conti sarà “contenuto”, a spiegare quali potrebbero essere le conseguenze per le casse dello Stato ci pensa l’Ufficio parlamentare di bilancio. L’organismo incaricato di vigilare in modo indipendente sui conti pubblici e valutare l’impatto macroeconomico dei provvedimenti ritiene infatti che il quadro delineato in aprile nel Documento di economia e finanza potrebbe risultare “pregiudicato in modo significativo”. Con il risultato finale di far scattare le temute “clausole di salvaguardia“, cioè l’aumento automatico di aliquote Iva e accise previsto come “ultima difesa” dei conti nel caso in cui l’esecutivo non riesca a ridurre la spesa di quanto previsto. Tutto dipende da come Palazzo Chigi e il Tesoro decideranno di affrontare la questione.

“Tenuto conto che già nel Def il rispetto della regola sul debito richiedeva il mantenimento di un avanzo di bilancio negli anni finali del periodo di previsione, il quadro post-sentenza è caratterizzato da margini di rischio più elevati”, si legge nel Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015. Il motivo è presto spiegato: se la sentenza fosse rispettata del tutto, versando ai pensionati gli arretrati per il 2012 e 2013 e assegni più alti a partire dal 2014, “la spesa di riferimento – in assenza di interventi compensativi – mostrerebbe una deviazione significativa rispetto a quanto previsto dalle regole europee per l’anno 2015″. L’Italia, insomma, rischia di non riuscire a ridurre il  disavanzo strutturale di 0,25 punti percentuali, come “previsto nel Def e richiesto dalle regole europee”. Anzi, “se l’importo delle maggiori pensioni a regime a seguito della sentenza fosse elevato, il saldo strutturale potrebbe addirittura rimanere invariato o peggiorare rispetto all’anno precedente”.

In particolare, se per il 2015 il totale degli importi da corrispondere superasse lo 0,5% del Pil, il deficit salirebbe sopra il limite del 3% del Pil previsto dal Patto di stabilità. E questo “potrebbe pregiudicare l’utilizzazione della clausola per le riforme strutturali che, in base a quanto indicato a livello europeo, può essere invocata solo nell’ambito della parte preventiva del patto”. Infatti un superamento della soglia, come ha avvertito mercoledì la Commissione, “comporterebbe la preparazione di un rapporto per verificare l’esistenza di un disavanzo eccessivo da parte dell’Italia così come previsto dal trattato Ue, anche se dovrà essere valutata l’eccezionalità, la temporaneità e l’entità del superamento del limite”.

“Negli anni successivi – ammonisce poi l’Ufficio guidato da Giuseppe Pisauro – l’inclusione degli oneri a regime nei tendenziali di finanza pubblica implicherebbe, tenuto conto del quadro di previsione del Def, una riduzione dello spazio a disposizione per la disattivazione dell’aumento delle aliquote Iva e delle altre clausole di salvaguardia. L’operatività della sentenza sembrerebbe pertanto richiedere – a parità di obiettivi programmatici – una ricomposizione delle misure preannunciate”.

In ogni caso, ovviamente, “le implicazioni sui conti pubblici dipenderanno dall’entità degli importi da erogare, tenuto conto delle eventuali misure compensative o correttive che il governo vorrà adottare”. Prima di fare calcoli definitivi, dunque, occorre aspettare il decreto ad hoc che dovrebbe uscite dal Consiglio dei ministri di lunedì. Anche se, secondo indiscrezioni, l’esecutivo si prepara in realtà a rimandare la questione a dopo le elezioni regionali, magari “congelando” nel frattempo la possibilità di chiedere i rimborsi con un provvedimento sospensivo.

L’Upb ha calcolato che la piena restituzione degli arretrati previdenziali per un pensionato tipo con assegno pari a 3,5 volte il minimo (1.639 euro al mese nel 2011) ammonterebbe a circa 3mila euro. Tuttavia “tale restituzione, per la componente relativa agli arretrati, costituirebbe una sovra-compensazione“. Mentre infatti le somme non percepite negli anni passati sarebbero state tassate con l’aliquota marginale Irpef, le somme riscosse a titolo di arretrati sono soggette all’aliquota media, molto meno gravosa. Nel caso del pensionato tipo, i 3mila euro sarebbero stati tassati in media al 30% se percepiti anno per anno, mentre se percepiti a titolo di rimborso sarebbero assoggettati a un’aliquota media pari a circa il 19%. Di conseguenza il pensionato che ha perso potere d’acquisto per 2.100 euro recupererebbe l’equivalente di 2.400 euro.