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Previdenza privata, la vigilanza della Covip tra segretezza e vigilati in difficoltà

Le attività dell'Authority, ai cui vertici Matteo Renzi ha messo l'economista Carlotta De Franceschi, sono svolte nel più assoluto riserbo. Intanto nell'universo delle casse private emergono i primi casi di squilibrio finanziario. E ora l'esecutivo punta a far smobilitare gli investimenti immobiliari per liberare risorse da dedicare a infrastrutture e piccole imprese

Per Matteo Renzi è lo strumento che permette di conoscere lo stato di salute di fondi integrativi e casse previdenziali private. Ed è quindi un tassello fondamentale per arrivare a mettere le mani nei forzieri in quello che è comunemente noto come il secondo pilastro pensionistico. Per quasi 7 milioni di lavoratori è invece l’autorità indipendente che deve garantire la loro pensione. Nonostante la delicatezza dell’incarico, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), ai cui vertici il premier ha voluto l’economista Carlotta De Franceschi, resta però per molti un mistero: l’attività svolta e le procedure sanzionatorie nei confronti dei fondi sono avvolte nel più assoluto riserbo, mentre le relazioni sullo stato di salute delle casse previdenziali private sono inviate direttamente ai ministeri del Lavoro e dell’Economia e non vengono rese pubbliche.

Intanto però nell’universo della previdenza emergono i primi casi di squilibri finanziari inquietanti: da Fonage, il fondo pensione di 15mila agenti assicurativi sull’orlo del collasso con un buco da circa 700 milioni, fino a Enasarco, l’ente previdenziale dei rappresentanti di commercio per il quale il MoVimento 5 Stelle ha chiesto a gennaio il commissariamento. Per non parlare delle presunte truffe della finanziaria Sopaf ai danni delle casse di giornalisti, ragionieri e medici. Qualcosa insomma non torna nel sistema di controlli che ruota attorno alla Covip, il cui lavoro pecca di trasparenza soprattutto nei confronti dei lavoratori che sopportano sulle loro spalle i costi della vigilanza.

Il finanziamento dell’autorità che analizza i documenti sulla politica di investimento di casse e fondi, è infatti a carico dei “soggetti vigilati” che lo scorso anno hanno sborsato complessivamente più di 11,5 milioni. Il denaro serve, in buona parte, a coprire il costo degli stipendi di 79 dipendenti. Di questi sei direttori e sei condirettori, pagati circa 1,6 milioni. Poi ci sono 28 funzionari e 39 impiegati che costano attorno ai 5 milioni. I lavoratori, del resto, secondo quanto spiegato in Parlamento l’11 febbraio dall’allora presidente vicario Covip Francesco Massicci, svolgono un ruolo centrale nella verifica dell’“adeguatezza della struttura organizzativa, professionale e tecnica e delle politiche e procedure per il monitoraggio e la gestione del rischio, nonché dei parametri adottati dalle forme per verificare i risultati della gestione finanziaria”.

Si tratta di compiti delicati che hanno impegnato non poco la Covip, autorità che nel 2014 ha portato a termine 600 interventi, 16 ispezioni a forme pensionistiche e 39 provvedimenti sanzionatori comminando in totale 500mila euro di multe (per legge le ammende vanno da un minimo di 5mila a un massimo di 25mila euro). La responsabilità dell’autorità è pesante, viste le cifre in ballo: il secondo pilastro pensionistico vale 126 miliardi (+9% sul 2013), il corrispondente dell’8% del prodotto interno lordo italiano e del 3 per cento delle attività finanziarie delle famiglie. In più le attività totali delle venti casse private totalizzano altri 66 miliardi di euro (+7,6% rispetto all’anno precedente).

Inutile dire che, in tempi di magra, questi numeri non hanno mancato di destare l’attenzione del governo Renzi, informato da Covip di una “cospicua presenza di investimenti immobiliari” (il 30% del totale) in pancia alla previdenza privata. Anche perché, secondo l’autorità, il portafoglio degli enti previdenziali privati non è equilibrato, ma è appesantito dal mattone che ha un “elevato grado di illiquidità”. Di conseguenza, per le casse sarebbe meglio diversificare. Magari, giusto per iniziare, sfruttando il credito d’imposta da 80 milioni previsto nella bozza di decreto del Tesoro a favore degli investimenti in strumenti emessi dalle imprese. E poi, come vorrebbe Renzi, liquidando buona parte del patrimonio immobiliare fino a portarlo, in cinque anni, sotto la soglia del 20%, per liberare risorse a vantaggio di nuovi investimenti in infrastrutture e pmi.

L’idea non spiace a Covip, che però suggerisce di attivare un “processo di valutazione dell’effettiva convenienza economica” delle singole scelte di investimento. L’autorità evidenzia che per realizzare la diversificazione è infatti necessario che esistano “organi di governo” che “devono essere capaci di selezionare e monitorare progetti di investimento adeguati, sulla base dei propri obiettivi di redditività e rischio”. In caso contrario ci sarebbe un’incognita in più per i patrimoni delle casse e le future pensioni dei lavoratori. I quali, in compenso, potranno continuare a contare sull’occhio vigile della Covip. Come sempre in assoluta riservatezza.