Musica

Investire in cultura: l’Italia ce la farà a farsi perdonare? L’esempio delle orchestre

Imperdonabile, intollerabile, incomprensibile (quasi) ciò che l’Italia e gli italiani stanno perpetrando a proprio esclusivo discapito: trasformare il Paese della bellezza, naturale e artistica, nella più grande occasione mancata della storia. Continui sono i crolli, continui gli abusi edilizi, continue le amnesie di chi ci governa a proposito del valore, inestimabile, del nostro patrimonio, tanto materiale quanto, e in egual misura, immateriale. Ma siamo certi che la mala amministrazione, l’incapacità gestionale di chi le leggi le scrive, sia causa, e non già effetto, di un problema che affligge il nostro territorio da tempo oramai immemore? 

Già, perché di tempo ne è trascorso tanto da quando, per esempio, l’Italia primeggiava per quantità e qualità di orchestre sparse su tutto il territorio peninsulare: come quella del San Carlo nei secoli XVIII e XIX, che stava alla scena musicale europea come oggi i Berliner Philharmoniker stano alla scena mondiale. Non vi era, al tempo, musicista europeo che potesse esimersi dal compiere il celebre Italienische Reise, il viaggio di formazione nella terra della musica per eccellenza. E dunque, è sempre e solo colpa della politica? Certo è la politica a decidere sui fondi da destinare alla cultura, ma a ben vedere il male italiano è, a quanto pare e innanzitutto, un male culturale, antropologico forse, certamente sociale.

Un male che trova le proprie ragioni in moltitudini di teorie e analisi realizzate da studiosi di vario genere, non ultima in ordine temporale quella del sociologo e politologo statunitense Edward C. Banfield che, prendendo spunto da una lunga serie di studi condotti in un piccolo paesino della provincia di Potenza, giunge a introdurre nel suo libro Le basi morali di una società arretrata il concetto di “familismo amorale”, paradigma col quale lo studioso spiega le ragioni dell’arretratezza sociale ed economica di un dato territorio e che si fonda su una concezione estremizzata dei legami familiari a danno dell’associazionismo e dell’interesse collettivo.

Capacità di associarsi e collettivismo che in Italia non trovano dimora ma che in Paesi come la Germania portano a risultati davvero sorprendenti (specie se paragonati allo status quo italico). Prendendo la musica quale indicatore di benessere (o malessere) sociale, occorre subito far presente infatti come in Germania siano ben 180 le orchestre professionali presenti su tutto il territorio nazionale, come del resto spiega nel dettaglio il presidente e direttore artistico di Erf (Emilia Romagna Festival), il flautista Massimo Mercelli: “(…) spesso anche paesini di 50mila abitanti ne hanno una [orchestra, ndr]. (…) Nel sistema scolastico italiano manca (…) un’educazione alla musica”. Problema questo già evidenziato in un precedente articolo e ancora senza alcuna apparente soluzione, ma che può dirsi al contempo causa ed effetto di un disagio sociale che conduce gli italiani verso un progressivo inaridimento morale e spirituale.

Già, perché di formazione dell’individuo e di educazione al viver sano ci stiamo occupando quando, nostro malgrado, ci ritroviamo a denunciare una situazione la cui gravità è continuamente indicata da realtà culturali, come ad esempio la rassegna cameristica interprovinciale Brianza Classica che, nonostante sia giunta alla XII edizione con risultati decisamente soddisfacenti in termini di programmazione e affluenza di pubblico, fatichi a portare avanti il proprio progetto a causa dei sempre più ingenti tagli alla cultura.

Perché, come mi riferisce il direttore artistico del festival, il flautista Giorgio Matteoli: “C’è sempre l’ossessione della ‘novità’ come principio discriminatorio. Se un cosa è ‘nuova’ forse te la finanziano. Se una cosa ha successo e si ripete e si ripete perché ha successo….anche no!!“. E allora occorrerebbe ricordare, prima ancora che ai nostri governanti a noi tutti, quanto emerge dallo studio dello psicologo Leaf Van Boven, professore di psicologia presso la University of Colorado a Boulder, che insieme ai suoi colleghi ha dimostrato, dopo una serie di esperimenti condotti su un gruppo di studenti universitari, come le esperienze positive portano alle persone molta più felicità di quella che produca il possesso dei beni materiali che, una volta posseduti, tendono a perdere il loro appeal iniziale. Basterà la scienza a risvegliare le nostre coscienze?