Cronaca

Comunione e liberazione, i guai del movimento fondato da don Giussani

Secondo gli organizzatori ci saranno 60mila persone da 47 Paesi. In Vaticano ci si chiede se ci sarà anche il sacerdote obbligato dalla Congregazione per la dottrina della fede a ritirarsi perché indagato per pedofilia

“Ci sarà anche don Inzoli all’incontro col Papa?”. È la perfida battuta che gira in Vaticano alla vigilia dell’udienza che Francesco concederà ai membri di Comunione e liberazione oggi in piazza San Pietro, a 10 anni dalla morte del fondatore, don Luigi Giussani, e a 60 anni dalla nascita del movimento. Secondo gli organizzatori ci saranno 60mila persone da 47 Paesi. La battuta è legata alla vicenda del riferimento di Cl in Lombardia, don Mauro Inzoli, obbligato dalla Congregazione per la dottrina della fede a ritirarsi a un “vita di preghiera e di umile riservatezza in considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori”.

Provvedimento, come è noto, disatteso da “don Mercedes”, come è soprannominato per le sue passioni per le auto di lusso, i sigari, i ristoranti alla moda e le frequentazioni politiche di colui che sarebbe stato il confessore di Roberto Formigoni. Aveva fatto molto rumore, infatti, la sua presenza al “convegno anti gay” sulla famiglia naturale organizzato dalla Regione Lombardia, seduto alle spalle dello stesso Formigoni e del presidente Roberto Maroni. Una presenza, per il sacerdote a cui l’ex Sant’Uffizio ha imposto anche di “intraprendere, per almeno cinque anni, un’adeguata psicoterapia”, oggetto anche dello scherzo telefonico di un finto Papa Francesco organizzato dalla trasmissione “La Zanzara” su Radio24.

Ma don Inzoli non è l’unico problema del movimento che negli ultimi anni ha ricevuto le più ampie benedizioni papali, da san Giovanni Paolo II a Benedetto XVI. Nell’omelia per i funerali di Giussani l’allora cardinale Ratzinger, che poche settimane dopo sarebbe stato eletto Papa, nell’affollatissimo duomo di Milano ricordò che nel 1968, quando Cl esisteva già da 14 anni, “la tentazione grande di quel momento era di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare”. E Ratzinger spiegò che così facendo “si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide”. Eppure la commistione tra il movimento e la politica è sempre stata presente e anche molto evidente, basta rivedere le sfilate di ministri, deputati e senatori agli annuali meeting di Rimini con esponenti di punta nel governo di Enrico Letta, Mario Mauro e Maurizio Lupi, di cui solo quest’ultimo confermato dal premier Matteo Renzi.

Per Ratzinger, che divenuto Papa, e anche da emerito, vivrà insieme a quattro laiche consacrate di Cl, le Memores Domini, “monsignor Giussani, nella forza della fede, ha attraversato imperterrito queste valli oscure e naturalmente, con la novità che portava con sé, aveva anche difficoltà di collocazione all’interno della Chiesa”. Sarà forse proprio per questo che il cardinale di Milano, Angelo Scola, alla vigilia del conclave del 2013, in cui era in pole position, aveva “preso le distanze da Cl”, come affermato da monsignor Luigi Bettazzi, il vescovo che profetizzò le dimissioni di Benedetto XVI. Ora i seguaci di don Giussani attendono fiduciosi la benedizione di Papa Francesco. Dagli archivi di Cl è stato rispolverato un testo in cui l’allora cardinale Bergoglio affermava: “Da molti anni gli scritti di monsignor Giussani hanno ispirato la mia riflessione, mi hanno aiutato a pregare e mi hanno insegnato a essere un cristiano migliore”. La speranza è che, divenuto Papa, Francesco non metta il dito nella piaga.

Francesco Antonio Grana