Diritti

Bahrain: i tweet di Nabeel Rajab e l’iprocrisia della comunità internazionale

Bahrain's Human Rights Activist, Rajab, takes a call in his home office a day before being sentenced to six month in jail over remarks critical of the state, in Budaiya west of Manama“Molti uomini del #Bahrain che hanno aderito al #terrorismo e all’#ISIS provengono dalle istituzioni di sicurezza e queste istituzioni sono state la loro prima incubatrice ideologica”.

Per questo tweet, martedì 20 gennaio Nabeel Rajab – persona nota ai lettori e alle lettrici di questo blog – è stato giudicato colpevole di “offesa a una pubblica istituzione” e condannato a sei mesi di carcere, che potrà evitare di trascorrere in cella pagando una multa, in attesa del processo d’appello.

Ciò che alle autorità del Bahrain – che ovviamente hanno preso parte al raduno di capi di Stato e di governo a Parigi in difesa della libertà d’espressione! – non è andato giù non è la rivelazione, da parte di Rajab, della presenza di “foreign fighters” nello Stato islamico (già di dominio pubblico dopo che era stata resa nota da Global Voices) quanto il collegamento da lui fatto tra il gruppo armato islamista sunnita e le forze di sicurezza del paese, governato dalla famiglia reale al-Khalifa, a sua volta sunnita ma giudicata comunque corrotta dall’autoproclamato califfato.

Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrain, era uscito dalla prigione nel maggio scorso, dopo una condanna a due anni per aver preso parte alla rivolta del 2011 e aver denunciato la repressione da parte delle forze di sicurezza, appoggiate dalle truppe del Consiglio di cooperazione del Golfo, saudite in particolare.

Come sempre in occasione di ogni condanna nei confronti di dissidenti, attivisti e difensori dei diritti umani del Bahrain, si è fatto notare il silenzio imbarazzato o complice dei principali alleati. Silenzio complice, di sicuro, quello del Regno Unito, spiegato dalla firma di un recente accordo del valore di 15 milioni di sterline per aprire entro i prossimi due anni una base navale.

Un silenzio messo in evidenza dallo stesso Rajab, che poco dopo la condanna ha fatto questa dichiarazione ad Amnesty International:

“L’ingiusto e incessante accanimento delle autorità nei miei confronti è solo un esempio di quanto molti altri difensori dei diritti umani nella regione del Golfo stanno subendo. Siamo vittime non solo della repressione dei nostri governi ma anche del silenzio, dell’ipocrisia e dei doppi standard della comunità internazionale. La nostra gente, affamata di libertà e giustizia sociale, è costretta a pagare il prezzo”.

Come il manifestante colpito in pieno volto la scorsa settimana mentre teneva in mano un cartello con la foto di un leader dell’opposizione in carcere.