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Terrorismo, quando con Osama Bin Laden diventa 2.0

Immaginatevi un computer portatile con una cornetta telefonica inclusa e vi farete un’idea del telefono satellitare Inmarsat Mini-M. Un bel pezzo di antiquariato nell’universo dei dispositivi mobili. Il 1 novembre 1996 Osama bin Laden ne compra uno. Se lo fa spedire a Kandahar via Londra e lo paga 15 mila dollari. Nei due anni successivi con quell’aggeggio effettua circa 900 chiamate in Gran Bretagna, Pakistan, Arabia Saudita, Stati Uniti e Yemen.

Una sua telefonata raggiunge anche il centro di comando di una nave in rotta sull’Oceano indiano. E’ con quel telefono che Osama pianifica i terribili attentati contro le ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam, in Kenya e Tanzania, nell’estate del 1998, costati la vita ad oltre 200 persone e in grado di identificare al Qaeda, per la prima volta, come il pioniere del terrorismo transfrontaliero.

Del resto Osama è sempre stato una sorta di modernizzatore globalizzato e maniaco dei nuovi media, tanto da rivelarsi negli anni più un comunicatore dirompente, più un ideatore che un ideologo. Comincia a prenderne consapevolezza al termine del suo ciclo di studi in economia aziendale presso l’Università Re ʿAbd al-ʿAzīz. Si avvicina alla tecnologia e al mondo occidentale perché viene da una famiglia borghese e facoltosa.

Lui, che è figlio di un self made man originario dello Yemen del Sud, magnate delle costruzioni e in stretti rapporti con la famiglia reale saudita, quand’è ancora giovane fa tutto quello che fanno i giovani della sua età, compreso appassionarsi al western americano e alla celebre serie tv “Bonanza”, dopo Gunsmoke la più longeva di tutti i tempi, la prima trasmessa a colori negli Stati Uniti.

In quegli stessi anni si apre anche al terrorismo. Guarda le prime azioni del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina con ammirazione, si unisce alla Fratellanza ed emigra in Afghanistan, ventenne, per combattere l’occupazione sovietica. Ortodosso e non proprio radicale, contribuisce a fondare al Qaeda nel 1988 a Peshawar e ne assume la posizione di emiro perché è il solo a possedere un conto in banca che possa costituire una fonte di garanzia per l’organizzazione.

Il conflitto interetnico, tuttavia, lo spinge a tornarsene in Arabia Saudita, dove viene accusato di corruzione ed esilia a Khartoum, ma questa volta come la pecora nera della famiglia. E’ in Sudan che bin Laden intraprende la via dell’innovazione tecnologica. Si compra un fax con cui invia manifesti clandestini ai suoi simpatizzanti, crea una rete transnazionale sovversiva al principio piuttosto amatoriale e che nel tempo riesce però a consolidarsi attraverso le prime forme di social media non ufficiali.

Osama è il primo a concepire il terrorismo come un movimento globale e dunque interdipendente ad un rete di comunicazione solida ed estesa. Capisce che la missione di al Qaeda non può limitarsi alla costruzione della paura, ma deve mirare al risveglio della comunità musulmana, per questo quando torna a Jalalabad e pronuncia la sua dichiarazione di guerra agli Usa ne concede la pubblicazione integrale prima su al-Quds al-ʿArab, un quotidiano londinese in lingua araba, e poi invita persino i giornalisti di Al Jazeera ad intervistarlo. Cavalca l’onda mediatica, realizza un prodotto di marketing e si quota sui mercati internazionali.

Fa il colpo quando ingaggia uno stratega di primo piano come Khalid Sheikh Mohammed, oggi identificato come l’ideatore e il pensatore degli attacchi dell’11 settembre, sotto custodia militare statunitense. Il successo comunicativo di uno dei più terribili attentati terroristici della storia eleva il valore del marchio qaedista, ma apre anche un nuovo ciclo di guerre che costringono Osama a rintanarsi in un covo buio e senza luci di Abbottabad, in Pakistan, per sfuggire ai raid americani.

Dal telefono satellitare di 15 mila dollari passa dunque a dei messaggi scritti su qualche foglietto di carta, li consegna a mano ai suoi corrieri e continua a muoversi nell’ombra. Il declino comincia proprio in quel momento, vuoi anche l’emergere di nuovi personaggi, ad esempio Anwar al-Awlaki, ritenuto fino a poco prima di morire il suo possibile successore.

Ciononostante, ai posteri bin Laden ha lasciato un modello di successo, oggi rivisitato da numerosi gruppi terroristici come l’Is(is), al Shabaab e Boko Haram attraverso i social network. Lo ha fatto sfruttando la dimensione liberale e democratica di Internet promossa dal mondo occidentale. Quasi un’involontaria ammissione di colpa, un altro stralcio informale di un testamento in cui lo Sceicco, sembra, abbia espresso la volontà che i suoi figli non entrassero a far parte di al Qaeda.