Emilia Romagna

Governo Renzi, si va allo sciopero generale

Conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo l'incontro tra Landini e RenziLa decisione della Fiom di indire lo sciopero generale entro novembre contro il ‘Jobs act fa finalmente chiarezza sull’ambiguità che, da quando è sorto il terzo ‘governo del Presidente’, quello a guida di Matteo Renzi, aleggiava sullo scenario politico: la sensazione di un accordo preferenziale tra il Presidente del Consiglio, nonché segretario del Pd, e il segretario generale della FIOM, Maurizio Landini.

Le ragioni sono chiare e sotto gli occhi di tutti: non si può far pagare ancora e solo ai lavoratori il costo della crisi, in particolare togliendo loro l’ultima difesa dal ricatto padronale, la protezione dello Statuto dei lavoratori e dell’articolo 18. Soprattutto non si può farlo in un mercato del lavoro in cui non ci sono garanzie di alcun tipo per chi si trova a perdere il lavoro senza una giusta causa.

Renzi vuole risvegliare gli spiriti animali del capitalismo liberando dai lacci il mercato, secondo la terminologia cara ai liberisti, fingendo di non rendersi conto che ciò determina uno stravolgimento delle relazioni aziendali a solo vantaggio del datore di lavoro che assume un dominio assoluto nei riguardi dei suoi dipendenti, a prescindere da ogni motivazione economica.

Non meno grave e pericoloso è il progetto di società che si delinea nello SloccaItalia, un provvedimento che lascia mano libera alla speculazione edilizia e alla rendita immobiliare, oltre che alla trivellazione di tutti i luoghi in cui si potrebbe trovare petrolio, un disegno di devastazione tragico per il nostro già martoriato territorio.

Questa è il banco di prova delle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria, dove le scelte del governo passeranno al vaglio degli elettori, dopo il successo alle europee sul quale Renzi ha costruito la legittimazione del suo governo.

Quali risultati può portare il Governo per chiedere nuovamente fiducia agli elettori? Niente di concreto ma molte battaglie politiche vinte a colpi d’immagine, nessun provvedimento per l’economia che segni un’inversione di tendenza dalla stagnazione, ma molte promesse a effetto, la reiterazione di frasi infarcite di “nuovo” e di “rottura col passato” culminate nello slogan ‘mettere il gettone nell’Iphone‘ che colloca gli oppositori nel passato remoto.

Alle frasi a effetto della Leopolda fanno riscontro le manganellate agli operai della Thyssen di Terni che suggellano al di là di ogni dubbio qual è l’orientamento del pluricontestato ministro degli Interni che è sostenuto da Renzi in ogni impresa in cui si distingue per strumentalità e incapacità.

Un governo sempre più smaccatamente di destra, condizionato dall’alleato in maggioranza e dall’alleato vero e non occulto, l’azionista di riferimento di Arcore che ne determina, con la sua ‘golden share’ acquistata al Nazareno, la durata.

È possibile che Renzi possa superare in positivo anche il passaggio delle regionali perché, di fatto, prende a prestito dalla destra i voti che potranno mancargli per la disaffezione dell’elettorato di sinistra ormai totalmente sfiduciato: sarà comunque una vittoria di Pirro che segnerà un solco ancor più profondo con il mondo del lavoro e con la parte più debole della società cui il governo non intende dare nessuna risposta concreta.

Il Pd è un partito totalmente svuotato della sua identità e della memoria della sua storia, perfino quella recente, l’Ulivo di Prodi ma anche la ‘ditta dell’usato sicuro’ di bersaniana memoria sono relegati in una soffitta polverosa.

È venuto in primo piano un leader dispotico attorniato da un ceto politico che non ha nessun legame con la storia della sinistra né quella d’ispirazione comunista e socialista, tantomeno con quella cattolica progressista, conciliare e morotea di Bindi e Castagnetti.

Il suo è un partito peronista, qualunquista, governista e trasformista che usa il potere con una spregiudicatezza che farebbe impallidire Tony Blair e che assomiglia sempre più pericolosamente a una formazione disposta a mettere in discussione anche i più importanti principi costituzionali per una repubblica postdemocratica con i lineamenti di un nuovo autoritarismo populista.

Per questo è importante che le forze più sensibili e attente al destino della democrazia, comincino seriamente a pensare a un modo di uscire da questa situazione.