Cultura

Roma, rivoluzione nell’area archeologica. Copiando Eataly

A Roma i Monumenti non crollano di schianto. Si assottigliano nel tempo. Con un progressivo inarrestato disfacimento. Così la Domus Aurea e le mura Aureliane sembrano quasi episodi. Importanti, certo. Ma quasi circostanziati. Così come quei pochi restauri. Rari e spesso diluiti nel tempo da querelle amministrative. Troppo spesso il filo rosso che unisce siti grandiosi, anche lontani, costituito di tante erbacce e nessun pannello didattico. Camion bar e centurioni, ancora senza controllo. Pezzi della città antica accanto ad altri della città moderna. Le architetture del passato vicine a quelle contemporanee. In realtà, le une confuse con le altre. Non da ora.

Per uscire da questo paesaggio decadente l’assessore alla Cultura Flavia Barca, insieme al sindaco Marino, alla Presidente della commissione Cultura Di Biase e all’assessore Cattoi, hanno pensato ad un progetto rivoluzionario. Il Grande Programma Europeo Roma Grand Tour, che “avrà come obiettivo ricucire, ricomporre e riunificare la tela del patrimonio archeologico di Roma capitale in un percorso unitario di fruizione e di conoscenza”.

A beneficiare di questa operazione dieci siti. Perlopiù nell’area centrale, ma anche in aree periferiche. L’idea, bella e pronta. Ogni luogo simboleggerà un tema. Il Campidoglio, la vita pubblica. I Mercati di Traiano, il progresso. Il Circo Massimo, il tempo libero. Il Teatro di Marcello, l’arte. Via de’ Cerchi, l’identità. Tor de’ Conti, l’accoglienza. Colle Oppio, il benessere. Il Celio, gli stili di vita. La villa di Plinio, l’otium e la meditazione. Le due ville di Centocelle, la vita domestica e la produzione agricola. Non una semplice serie di restauri. Perché ai diversi cantieri si accompagneranno interventi con l’uso delle tecnologie digitali. Ci sono anche i finanziamenti. Si tratta dei fondi Sviluppo e Coesione della Presidenza del Consiglio e di fondi europei. Complessivamente 101 milioni di euro. Un’operazione che al termine dei quattro anni previsti produrrà un incremento di visitatori e posti di lavoro nel settore culturale, a detta della Barca.

L’idea del tematismo è forse suggestiva, ma a dire il vero, è dai contorni incerti. Soprattutto per quel che riguarda le finalità. La proposizione di luoghi dell’archeologia come identificativi di settori della conoscenza, di attività del vivere e di status diversi il tentativo maldestro di costruire spazi di specificità. Ben inteso, non è che quelle aree archeologiche non costituiscano delle espressioni di quanto si è scelto per definirle. Ciascun complesso monumentale rappresenta compiutamente quel che si vorrebbe.

Ma il problema è che non solo il Campidoglio è sinonimo di “vita pubblica”. Così come non soltanto il Colle Oppio è tout court “benessere”. Lo stesso ragionamento può valere per gli altri siti. Scegliere un monumento e farne la rappresentazione di qualcosa è scientificamente poco corretto e anche strumentalmente rischioso. Forse le terme di Caracalla, oppure quelle di Diocleziano, possono considerarsi meno esemplificative del benessere? L’area sacra di Largo Argentina costituisce una esemplificazione della “vita pubblica” meno del Campidoglio?

Così scorrendo, anche velocemente, l’elenco dei monumenti romani, ci si accorge che ogni status, ogni settore della conoscenza ha un ben nutrito numero di esemplificazioni. Anche perché i tematismi sui quali hanno deciso di puntare gli amministratori romani nelle scienze archeologiche sono un riferimento essenziale. Nelle carte archeologiche un momento è imprescindibile da un’ analisi su settori specifici e su ambiti cronologici determinati: sono layers insostituibili per ricostruire lo sviluppo diacronico di città e di territori. Accendere un solo edificio termale tra quelli esistenti fa correre il rischio di fornire un’immagine parziale. Oltre che errata.

A questo punto viene il dubbio che l’operazione rivoluzionaria, incardinata sull’identificazione, nulla abbia a che vedere con l’archeologia e con i suoi principi. Il sospetto è in realtà che anche in questo ambito si voglia duplicare l’esperienza romana delle “Città”. Da quella, ormai datata anche se ben lontana dall’essere realizzata, dei giovani nell’area degli ex Mercati Generali fino a quella, presentata recentemente, della Scienza nell’ex Caserma di via Guido Reni al Flaminio. Esperienza che ha prodotto fin’ora solo dei grandi buchi urbani e che comunque nascondeva tra le pieghe di progetti dai nomi evocativi, operazioni di edilizia abitativa e di nuovi spazi commerciali. Di più. Sembra quasi che il tematismo sia diventato il passpartout per raggiungere il gradimento delle folle. Per soddisfarne le richieste. Il meccanismo quello, vincente, di Eataly. Una ricerca ossessiva di classificazione, di articolata tipologia. Per i dolci e le paste, nei palazzi del nuovo modo di mangiare e fare la spesa, funziona. Il dubbio è che con i monumenti possa non andare alla stessa maniera rimane. Anche perché il Circo Massimo e i Mercati di Traiano non sono vetrine nelle quali esporre prodotti.

La necessità di rivitalizzare un patrimonio in larga parte in precario stato di conservazione ed offerto alla vista senza nessun strumento tecnologico di ausilio è più che evidente. Come il fatto che la loro tutela non può che essere conseguenza di una loro congrua valorizzazione. Quel che rimane incerto è perché mai il Campidoglio e il Colle Oppio, la Tor de’ Conti e il Celio, per diventare migliori debbano diventare delle cittadelle. Con il rischio di emarginare tutto il ( tanto) resto.