Cultura

Di cultura si mangia. Ovunque tranne che in Italia

Poche settimane fa ilfattoquotidiano.it ha posto l’accento sulla cattiva gestione del patrimonio culturale italiano. Un resoconto impietoso che ha messo a nudo politiche senza visione né prospettiva dove tagli, sperperi e carenti manutenzioni riducono al degrado, e ad una insufficiente valorizzazione, perfino i siti riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’Umanità.

I ripetuti crolli di Pompei portarono, tempo addietro, Philippe Daverio ad invocare i caschi blu dell’Onu per la gestione degli scavi archeologici. Il litorale del parco nazionale del Cilento, riconosciuto come Riserva della Biosfera, è preda di una capillare cementificazione. Solo qualche mese fa, all’Unesco sono giunti gli echi delle polemiche sui programmi di costruire in deroga dei piani paesaggistici nelle isole Eolie.

L’analisi è crudele se si comparano le politiche e i dati del Belpaese con quelli di altri paesi occidentali, come la Francia, dove la cultura crea introiti e indotto perché supportata dal Governo, e il patrimonio artistico è oggetto di attente cure e puntuali manutenzioni.

In questi giorni la prima succursale del Louvre – il museo più prestigioso del mondo con 9,7 milioni di visitatori e un incasso in biglietteria di 58 milioni di euro – inaugurata un anno fa a Lens, città del nord che con l’alta velocità si raggiunge in un’ora dalla stazione Gare du Nord di Parigi, ha aperto le proprie sale alla cultura etrusca. “Gli Etruschi e il Mediterraneo, la città di Cerveteri” è il tema dell’evento organizzato dal Louvre di Lens e dal Palazzo delle Esposizioni di Roma.

I gioielli dell’archeologia etrusca di Cerveteri valorizzati in Francia e poco considerati in patria dove neppure la vicinanza della cittadina alla capitale aiuta a dirottare i flussi di visitatori interessati alla cultura verso il sito etrusco insignito dall’Unesco.     

L’effetto Louvre ha fatto rinascere Lens, non solo spazi dismessi dell’industria mineraria hanno ripreso vita con le linee del museo tracciate da due archistar giapponesi, Sejima e Nishizawa, esponenti di punta della transavanguardia, ma anche un’economia depressa ha trovato nuovo ossigeno. I novecento mila visitatori del primo anno di vita della struttura museale hanno generato 400 nuovi posti di lavoro e hanno portato il New York Times ad inserire la uggiosa Lens in una Top 50 dei luoghi da visitare in Europa.

Una riconversione economica che ha sapientemente puntato sulla cultura. Così Lens ha seguito il modello Bilbao dove il Guggenheim di Frank Gehry attrae circa un milione di visitatori all’anno ed è una delle istituzioni culturali europee che presenta il più alto livello di autofinanziamento, circa i due terzi dei ricavi sono prodotti ai botteghini del museo.

La struttura avveniristica in titanio ha cambiato la storia della città industriale basca, costata alla collettività 120 milioni di euro, dalla sua inaugurazione del 18 ottobre 1998 il Guggenheim è diventato il motore della ripresa economica. Si calcola che solo nel 2011 ha generato 274 milioni di euro, con ricavi per il fisco spagnolo di oltre 42 milioni, l’indotto, nei primi tre anni di vita, ha superato i 635 milioni di dollari. Senza contare che attualmente sono quasi seimila i posti di lavoro che ruotano intorno alle curve di titanio disegnate dall’americano-canadese Gehry.

Altrove la cultura è un affare. In Italia sembra essere un peso.

Non è un caso che l’ex potente Ministro dell’Economia Tremonti sarà ricordato per una frase (“con la cultura non si mangia”) e per il provvedimento che ha introdotto ingenti spese, prima non previste, per i giudizi avviati dalle onlus ambientaliste rendendo, di fatto, impossibile una efficace tutela del paesaggio e del patrimonio artistico.

Non è un caso che il sindaco di Salerno De Luca, oggi sottosegretario alle Infrastrutture, invochi spesso l’effetto Bilbao per la città tirrenica. Lo fa alla maniera italica: nel tratto di costa più prezioso della città non fa costruire né un involucro museale racchiuso in curve di titanio né una succursale del Louvre.

Sarà il Crescent, palazzone residenziale sorretto da colonne doriche posticce alte quasi 30 metri, l’espressione del modello Guggenheim.

In Italia con la cultura non si mangia, con il mattone sì.