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Attivisti Greenpeace, i ‘vandali’ che vennero per l’Artico

Non più pirati, ma vandali. Anzi, per essere precisi, “hooligans“. I nostri Arctic30 non sono più accusati di pirateria, ma di vandalismo. I membri dell’equipaggio dell’Arctic Sunrise, detenuti in custodia cautelare da ormai un mese, non rischierebbero più fino a un massimo di 15 anni ma “solo” fino a 7 anni.

Non eravamo pirati prima. Non siamo vandali, anzi – scusate – hooligans, ora. Un’accusa diversa, ma sempre assolutamente sproporzionata. Un assalto al principio stesso della protesta pacifica.

Il motivo è semplice. Secondo la legge russa il vandalismo, anzi – scusate – l’hooliganismo, è “una grossa violazione dell’ordine pubblico con la quale si esprime un evidente disprezzo per la società”. È accompagnato da “violenza contro persone private o minacce” e da “distruzione o danno di proprietà altrui per mezzo dell’uso di armi o azioni di oltraggio motivate da ragioni politiche, ideologiche, razziali o etniche o azioni di disprezzo contro altri gruppi sociali”.

Ecco, attenendoci a questa definizione, abbiamo la conferma che le accuse in questione sono assolutamente inventate, frutto di fantasia, senza alcun rapporto con la realtà. I nostri attivisti che lo scorso 18 settembre hanno tentato di aprire, sul lato di una piattaforma Gazprom di 250.000 tonnellate, uno striscione in difesa dell’Artico dal pericolo di trivellazioni in un’area molto delicata e fondamentale per gli equilibri del nostro Pianeta, non sono nemmeno lontanamente assimilabili a dei vandali. Anzi – scusate – hooligans.

Una giornata intensa quanto importante quella di mercoledì 23. Quasi in contemporanea con l’arrivo dalla Russia della notizia precedente, il Commissario europeo Janez Potočnik, intervenendo al Parlamento Europeo a Strasburgo a nome della Commissione Europea, ha affermato che – “mentre la nostra immediata preoccupazione va alla detenzione che continua e alle accuse manifestamente sproporzionate” rivolte agli Arctic30 – “non dovremmo perdere di vista la questione verso la quale queste persone stavano attirando la nostra attenzione e che dovremmo prendere tutti sul serio: come assicurare che le attività economiche nell’Artico non danneggino il fragile ambiente di questa regione”.

Non solo. “Il cambiamento climatico – ha continuato Potočnik – sta già avendo un impatto significativo sull’ambiente artico  e lo sfruttamento delle risorse naturali della Regione pone una minaccia aggiuntiva se non avviene in modo sostenibile, con tutte le necessarie precauzioni e consultando le popolazioni locali. Non possiamo neanche immaginare l’impatto che avrebbe una fuoriuscita di petrolio nell’Artico e la difficoltà e i costi dell’eventuale bonifica”.

Dichiarazioni che ovviamente accogliamo con soddisfazione. Una presa di posizione che legittima ancor di più la nostra battaglia in difesa dell’Artico e che si aggiunge alle richieste di liberazione dell’equipaggio dell’Arctic arrivate dalla Presidentessa del Brasile Dilma Rousseff, dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, da 11 premi Nobel per la Pace, da Ong internazionali come Amnesty, WWF, Humans Right Watch.

Fortunatamente non siamo soli. E la nostra energia deriva principalmente da più di un milione e mezzo di persone in tutto il mondo che, conoscendo la nostra storia – 42 anni di battaglie per il Pianeta, combattute con la forza della non violenza – hanno firmato il nostro appello alle ambasciate russe per chiedere #FreeTheArctic30.

Cristian, tutti gli Arctic30, sono solo colpevoli di pacifismo e devono essere liberati. Ora.