Politica

Pd: a chi servono davvero gli 8 punti?

In questi giorni non si può non accorgersi di come si sta muovendo il Pd dopo il risultato delle elezioni. (Non vorrei entrare nel merito dei contenuti, cercherei di rimanere sulla forma, per quanto possibile.)

È sotto gli occhi di tutti almeno un fatto, questo sì rivoluzionario: un partito che in alcuni dei suoi dirigenti arriva dritto dalla Prima Repubblica inizia di punto in bianco a comunicare come un attivista internauta: lo streaming. Per di più ricalcando (almeno nella forma, appunto, degli 8 punti) i “titoli” del mondo della rete che ha portato (anche) alla sua sconfitta.

Ecco, tutto ciò ricorda uno studente rimandato a settembre (quando ancora esisteva questa formula) che fa di tutto per convincere la madre che studierà, farà il bravo, si applicherà, e che quindi poi tutto andrà bene. “Sì, insomma, è vero, ho sbagliato qualcosa, mamma, ma ce la posso fare, è tutto nelle mie possibilità, è uno scherzo farcela, basta così poco.”

Quando la madre poi gli dicesse qualcosa sul fatto che avrebbe potuto pensarci prima, lui potrebbe cominciare a snocciolare mea culpa, e poi furbescamente qualche promessa, che sa da quando è piccolo che con lei funzionerà.

A me questi 8 punti sono sembrati la riproposizione di questo schema. Perché, come lo studente che immediatamente – dopo 9 mesi di scuola – cambia atteggiamento con la madre, questa nuova comunicazione del Pd (dopo 20?, 30?, 40 anni?) porta esplicitamente con sé delle domande, dei quesiti. Che peraltro sono talmente ovvi da essere stati per forza messi in conto dai dirigenti del partito, e quindi nascondono qualcosa che non si vede subito, cioè qualcosa che va aldilà di queste stesse domande, sta oltre.

La fondamentale: perché sputtanarsi in una settimana anni e anni di strategie di comunicazione e di feeling con i tuoi elettori? E poi: perché stai così tanto abbassando la testa di fronte a un altro partito (il Pdl invece è rimasto, sembra, immobile) da ricalcarne esplicitamente lo stile? Credi che un mutamento così repentino dimostri che il partito è davvero cambiato, in una settimana? E se è cambiato, perché proprio nella direzione di chi ha vinto le elezioni? E come possiamo infatti poi non chiederci, intanto: ma non potevate pensarci dieci giorni fa, quando smacchiavate i giaguari?

E poi: è evidente che tutto ciò strizzi l’occhio a quelli che sono sempre stati i vostri elettori e che poi hanno cambiato, per Grillo. Come a dire: “Dai, siamo noi il tuo partito del cuore, ricordatelo. Ok, abbiamo sbagliato. Vedi come ti veniamo incontro?”. Ma la domanda per me fondamentale è: come pensano di essere credibili, adesso?

Cioè, come pensano di superare tutti questi dubbi evidenti e riguadagnare credibilità? Infatti nessuno può ragionevolmente credere che un partito così strutturato, stratificato e complesso sia cambiato completamente nel giro di una settimana. Allora spereranno, si dice uno, nella memoria breve degli italiani, nella tendenza all’amore per l’ammaliamento facile.

Ma non è stato proprio tutto il contrario a portare quel terzo di elettori a votare M5S? Cioè, il Pd sta usando gli specchietti per le allodole con chi non si vuole più fare abbindolare così facilmente (anni e anni di promesse elettorali mai mantenute)?

Ma allora perché è stato fatto tutto questo?

Forse – forse – può dunque essere soltanto una strategia di nuovo in ottica di partito. Nell’ottica di evitare nuove diaspore in vista delle nuove elezioni (siamo in campagna elettorale costante). Cioè è un modo per dire, fra poco: noi ci abbiamo provato a fare un governo, voi non ci siete stati, e adesso è tutta colpa vostra. Facendo così la parte dei responsabili (con chi ha deciso di continuare a credere al Pd, e il contrario però con gli altri).

Sotto un gesto – formalmente – tanto rivoluzionario potrebbe quindi in realtà nascondersi un intento profondamente conservatore (vedi alla voce: “Bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla”).