Cultura

Manoscritti/4: L’offuscamento (di Julio Monteiro Martins)

Procediamo dunque. Questa è il quarto manoscritto nel cassetto. O meglio: il biglietto da visita di un manoscritto nel cassetto. Buona domenica e buona lettura.

L’OFFUSCAMENTO

romanzo di Julio Monteiro Martins

Preambolo

Quando ero un giovane scrittore, pensavo spesso alla Niterói della mia infanzia o alla Resende della mia adolescenza, in Brasile, e cercavo di capire al meglio il carattere, le costrizioni e le speranze dei personaggi che le abitavano. Prendevo sul serio la famosa frase di Tolstoj che mia madre mi aveva tramandato: «Descrivi bene il tuo villaggio e avrai descritto il mondo».

Mezzo secolo è passato dai giorni di Niterói e dalla voce di mia madre, ormai svanita, e mi ci sono voluti tutti questi anni per capire che, diversamente dall’Ottocento del vecchio conte, il villaggio dell’uomo contemporaneo è il suo tempo, e che a ogni nuovo decennio emigriamo in un paese sconosciuto.
Il comune cittadino della nostra epoca probabilmente non conosce il proprio vicino di casa e sicuramente non saprà dire il nome del sarto del suo quartiere (ammesso che esistano ancora i sarti), ma convive quotidianamente con personaggi di tutto il mondo che i media e le nuove tecnologie s’incaricano di presentargli, per prima o poi allontanarli da lui.
Il villaggio dove si svolge questo romanzo si chiama Duemilasei. Qui si muovono i suoi personaggi, e vivono le sue piazze e le scuole, il centro invisibile e le sue smarrite periferie. Potrei azzardare una perifrasi di Tolstoj: «Descrivi bene un anno e avrai descritto la Storia», ma non ho tale pretesa. Ciò che più mi preme è presentare ai lettori un problema del nostro “villaggio”, un problema dolente e critico, anche se spesso trascurato, dimenticato tra tanti altri problemi più clamorosi o più esplosivi: quello dell’impotenza umana di fronte al camuffamento o addirittura alla morte della verità.
Molti dei fatti storici presenti in questo libro hanno già avuto il loro decorso, a volte sorprendente, e sono stati fagocitati e dimenticati dall’anno successivo, per cui è probabile che il loro racconto a questo punto appaia fuori luogo. Ma il lettore non deve scoraggiarsi. Deve ricordarsi invece che questa è solo un’istantanea, che ciò che importa è come le cose sembravano allora e non le possibilità che si nascondevano dietro, che lo scrittore non poteva andare a sbirciare nel villaggio vicino, il Duemilasette o il Duemilaotto, per poi proseguire indisturbato la narrazione. (Il lettore più navigato, tuttavia, avrà già capito che quell’anno è anche una scelta del tutto casuale e irrilevante, e che gli argomenti veri di questo libro stanno fuori e oltre i confini del tempo. La letteratura conferisce sempre nomi, date e indirizzi arbitrari a tutto ciò che è essenziale, e occulta l’eterno sotto il manto variopinto del circostanziale, perché possa in questo modo essere visto e identificato dal lettore. Ma non lo fa anche la vita, quando ci inchioda al caotico paesaggio delle circostanze? E non saranno le circostanze, il tempo e lo spazio, il “velo di Maya” degli induisti, lo schermo su cui gli uomini proiettano le loro illusioni per rendere accettabile l’esistenza?)
Tutti noi abbiamo ormai lasciato il Duemilasei alla nostre spalle. Abbiamo traslocato in altri villaggi temporali, con le loro impasse e le loro gioie particolari, ma il Duemilasei non è affatto rimasto disabitato e abbandonato. Non è la Macondo deserta delle ultime pagine del romanzo di Márquez. È rimasto qualcosa in più del vento che solleva la polvere per le strade vuote del paese. È rimasto questo libro, che come un anziano seduto sull’uscio di casa racconterà al visitatore un po’ della storia del luogo. Ascoltiamolo dunque.

Stefania fa la doccia

Stefania lasciava l’acqua calda scorrere liberamente e, quando il vapore riempiva tutto il bagno così da non riuscire più a vedere l’arabesco dorato sulle piastrelle, gli specchi e gli asciugamani, si immaginava nel principio del mondo, nel primo giorno della creazione, nel giorno a partire dal quale tutto, proprio tutto, sarebbe stato possibile. E solo questo pensiero era in grado di renderla serena.
Si palpava i seni, facendo penetrare la schiuma densa per sentirsi più sicura e, accarezzando il collo e le spalle con una spugna, celebrava lo scampato pericolo. La sua doccia non era un atto di pulizia ma un vero rituale di autopurificazione. Chiusa la porta, il bagno diventava un territorio protetto, caldo e accogliente come un ventre ideale.
Serrava gli occhi e lasciava l’acqua scendere a rivoli dalla testa ai piedi, liberandola da tutte le impurità. Immaginava di ricevere da un suo dio personale la sacra unzione, poi immaginava qualcosa di terribile, ossia che non era l’acqua tiepida ciò che la bagnava, ma il sangue di un grande animale sacrificato versato sulla sua testa, un animale sgozzato in suo omaggio.
Una volta si era scordata di chiudere la porta a chiave, e Giovanni entrò durante la sua doccia, scusandosi, ma gli scappava la pipì. Urinò in mezzo al suo vapore, nel suo spazio mai prima violato. Tirò lo sciacquone e fece vibrare la sua aria con quel rumore orrendo, inopportuno. E prima di andarsene si lavò le mani e andò a prendere un asciugamano appeso vicino al box. Visto da lei, si comportava come una bestia selvaggia che urina dappertutto per segnare il proprio territorio. Lei si strinse a se stessa, umiliata per il rito rovinato da quel pachiderma osceno. Non avrebbe potuto salvare quella giornata, ma non si sarebbe dimenticata mai più di chiudere con almeno due mandate la serratura della porta del suo bagno.
Giovanni invece non avrebbe mai sospettato che la sua innocente pisciatina fosse stata letta dalla moglie come una così brutale irruzione. Quando, più tardi, prima di cena, la vide inghiottire una pillola, pensò soltanto che avesse mal di testa o, meglio, non pensò niente, si era ritrovato nella consueta irrealtà domestica. Vedendo che la cucina era bella pulita e il forno spento e vuoto, cioè che non ci sarebbe stato proprio niente da mangiare quella sera oltre alle pasticchine di Stefania, ordinò una pizza per telefono, si chiuse nello studio e si mise di fronte allo schermo del computer, il suo equivalente, in evasione, al bagno turco della grave e solenne vestale che un giorno era stata sua moglie.

Un appunto di Giovanni sul suo taccuino

Due bambini

Due bambini nascono.
Due bambini nascono più o meno alla stessa ora in due diversi quartieri della stessa città.
È molto difficile distinguere l’uno dall’altro però. Seminascosti dalle macchie di feci e di sangue sparse dappertutto sui loro corpicini, appesi a due identici cordoni ombelicali, sinuosi e giallastri, sembrano quasi lo stesso bambino. E quando piangono forte, quando si agitano e arrossiscono, mammamia! è proprio impossibile indovinare da quale dei due ci arrivano quegli strilli.
Più difficile ancora, per un uomo onesto, sarà capire e accettare che, no, quei due bambini non sono uguali, che quelle chiazze sono ingannevoli, che quelle urla già ora suonano diverse una dall’altra, che ci sono due tipi di sguardi su di loro, che uno dei due bambini è già il padrone dell’altro, che uno sarà un erede e l’altro no, che uno avrà la sua casa e l’altro no, che uno passerà la vita ad aspettare in ansia cosa l’altro vorrà dirgli, che la parola del primo è quella che potrà cambiare la vita del secondo, mentre la parola del secondo per il primo non avrà alcun valore.
Un uomo onesto, quando sente i pianti identici dei nascituri, sa che non potrà rassegnarsi mai a questo tipo di differenza, altrimenti non è mica un uomo onesto. Perché un uomo, se è onesto, si vergogna di certe cose, anche se non le ha create lui, e non può proprio vivere se non animato dal dovere di cambiarle, di ristabilire quell’elementare senso di giustizia che rende il mondo un territorio meno ostile a uomini onesti come lui.
L’uomo onesto, insomma, vuole una cosa semplice e chiara: che quei due bambini nascano veramente uguali, che quello sporco identico sulla loro pelle vergine non serva solo a nascondere per qualche minuto l’atroce vergogna di certe penurie e di certi privilegi.

L’Autore

Julio Monteiro Martins nasce nel 1955 a Niterói, nello stato di Rio de Janeiro (Brasile). Si dedica alla scrittura fin da ragazzo e già nel 1976 pubblica i primi racconti. Nel 1979 partecipa alloInternational Writing Programdella University of Iowa (USA), ricevendo il titolo diHonorary Fellow in Writing, e per un anno insegna scrittura creativa al Goddard College (Vermont, USA). Continua poi l’insegnamento presso laOficina Literária Afrânio Coutinho(Rio de Janeiro), dal 1982 al 1989, e in seguito in Portogallo, pressol’Instituto Camões di Lisbona(1994) e presso laPontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro(1995). Dal 1996 insegna all’università di Pisa Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso laScuola Sagaranadi Lucca. È fondatore e direttore della rivista culturaleSagarana(www.sagarana.net).
All’attività di scrittore e docente affianca un impegno attivo in campo politico e sociale. Nel 1983 è uno dei fondatori del delPartido Verde brasiliano, e successivamente, nel 1986, del movimento ambientalista brasiliano “Os verdes”. Nel 1991, avendo affrontato studi universitari di indirizzo giuridico, è avvocato dei diritti umani per il Centro Brasileiro de Defesa dos Direitos da Criança e do Adolescente (ONG), occupandosi in particolare dell’incolumità dei meninos de rua chiamati a testimoniare in tribunale, in seguito all’orrenda strage dellaChacina da Candelária, nella quale una squadra di poliziotti in borghese uccise nel sonno a colpi di mitra bambini abbandonati che dormivano in strada a Rio de Janeiro.
La produzione letteraria di Julio Monteiro Martins comprende numerose opere sia in portoghese brasiliano sia in italiano, essendo quest’ultima la lingua attualmente preferita dall’autore. Pur prediligendo la forma narrativa, Monteiro Martins ha pubblicato anche poesie, monografie e pièce teatrali. Da alcune sue opere sono state tratte sceneggiature di cortometraggi. Di seguito i principali titoli.
In portoghese:Torpalium,Sabe quem dançou?,Artérias e becosBárbaraA Oeste de NadaAs forças desarmadasO livro das DiretasMuambaO espaço imaginário; suoi lavori sono inoltre apparsi in numerose antologie.
In italiano: Il percorso dell’idea (poesie, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998), Racconti italiani (Besa Editrice, Lecce, 2000), La passione del vuoto (Besa, Lecce, 2003 ),madrelingua (romanzo, Besa, Lecce, 2005) e L’amore scritto(racconti, Besa, Lecce, 2007); ricordiamo infine la partecipazione, assieme ad Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo, all’opera collettiva Non siamo in vendita – voci contro il regime (a cura di Stefania Scateni e Beppe Sebaste, prefazione di Furio Colombo, Arcana Libri / L’Unità, Roma, 2002) col raccontoL’irruzione. Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua opera Un mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace, per la Libertà edizioni, di Lucca.

Quarta di copertina

Julio Monteiro Martins, da scrittore affermato, impegnato e sperimentale che scrive in portoghese nel suo nativo Brasile, è passato a essere scrittore migrante che si appropria dell’italiano riproducendone magistralmente gli scambi verbali, il dialogo quotidiano di tafferugli coniugali, il gelido burocratese delle istituzioni, l’idioma della tenerezza tra amanti inter-generazionali che si alterna a quello un po’ lezioso tra padri e figli della intellighenzia illuminata, e poi ancora un inusitato e confidenziale linguaggio di “lezione” universitaria che cerca non solo di stabilire la complicità tra studenti e docente (peccato mortale contro il rapporto strettamente gerarchico che caratterizza l’università italiana) ma anche di rivelare più di quello che è lecito sentire nella cittadella dei baroni. Le situazioni ricordano per certi versi i romanzi ambientati in campus americani, à la Nabokov, trasportati però in un contesto più sconcertante, di ateneo italiano in piena crisi di inizio millennio. Con l’occhio attento di chi sta in limine, l’autore disegna una galleria di personaggi che suscitano nel lettore una sorta di empatia per la loro vocazione a trascendere dal loro vissuto attuale verso qualcosa di più alto.
L’offuscamento”, è un romanzo che cuce con maestria frammenti di realtà esposti in una varietà di forme che potrebbero andare dalla sceneggiatura di un film, alla perorazione politica, al saggio, alla riflessione / aforisma (come la bella spiegazione fornita dalla giovane amante sul dilemma del protagonista “Giovanni invece si dispera perché è costretto a vedere il mondo attraverso un vetro opaco, quello che a Murano chiamano “vetro di latte”, sai, quelli traslucidi. Vedi la luce, distingui a volte i colori, le sagome, ma non ti è permesso di vedere veramente ciò che c’è dietro quel vetro. E lui ha questa voglia di trasparenza. Si sente proprio derubato, violentato, capisce che le versioni che gli vengono presentate sono tutte false, ma quella vera gli è inaccessibile. Si esaspera, è come se prendesse fuoco…”).
Il protagonista non si rassegna all’opacità in cui siamo costretti a vivere, ed antieroico paladino dell’Illuminismo, nonostante si rechi in battaglia corrazzato dai baci di guerra elargiti dalla sua Lolita/Dulcinea l’aspetta una lotta impari, non più contro i mulini a vento ma contro dispositivi ben più complessi quali leextraordinary rendition. Riuscirà il nostro antieroe a cavarsela? Ne uscirà con maggiore chiarezza e riuscirà, cosa più importante, a comunicarla? Nel testo potrebbe nascondersi (o no) l’ardua sentenza.

julio.monteiro.martins@gmail.com

Pina Piccolo

Le precedenti proposte (primo capitolo, quarta di copertina e bio):

– L’ombra della realtà, di Marcello Ciancio

Trenta denari, di Anna Rita Guarducci

Malebolge di Luca Arnaù