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L’ad di Mps e Caltagirone al telefono intercettati su Mediobanca: “Il vero ingegnere è stato lei, io ho eseguito solo l’incarico”

Ministero dell'Economia "opaco", ma non è indagato nell'inchiesta sulle operazioni che hanno ridisegnato la finanza italiana. Solo perché la procedura che ha dato il via alle danze, la vendita del 15% di Mps un anno fa, non è gara pubblica

“Il vero ingegnere è stato lei, io ho eseguito solo l’incarico… Comunque godiamoci questa cosa, ha ingegnato una cosa perfetta, quindi complimenti a lei per l’idea“. È il 18 aprile 2025, l’amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, Luigi Lovaglio, è al telefono con quello che, dopo il ministero dell’Economia, è il suo più importante azionista, Francesco Gaetano Caltagirone. La data è importante, perché siamo all’indomani dell’assemblea del Monte che ha approvato l’aumento di capitale a favore della scalata di Mediobanca.

“Perfetto, grazie. È andata come doveva”, replica il costruttore editore romano nella telefonata registrata dagli investigatori del pool milanese contro i reati di finanziari e riportata in esclusiva dal Corriere della Sera in edicola venerdì 28 novembre. “Ci sono anche intercettazioni come queste, oltre alla ricostruzione del ‘costante investimento a scacchiera in Mediobanca e Generali da parte del gruppo Caltagirone e di Delfin’, ad aver spinto la Procura di Milano a indagare il settimo più ricco italiano costruttore-finanziere-editore Caltagirone, il presidente di Luxottica e della controllante lussemburghese Delfin, Francesco Milleri, e il banchiere di Mps Lovaglio per le ipotesi di reato di ‘aggiotaggio‘ e di ‘ostacolo alle Autorità di vigilanza‘”, spiega il quotidiano di Urbano Cairo che per primo, giovedì 27 novembre, ha dato notizia degli avvisi di garanzia e delle perquisizioni a carico degli scalatori dell’anno che secondo i pm avrebbero fatto la scala sulla base di un accordo tenuto nascosto al mercato.

La questione non è puramente teorica o di etichetta: in caso di accordo tra più azionisti, al superamento congiunto della soglia del 25% di proprietà di una società quotata, la legge prevede l’obbligo di lanciare un’offerta pubblica di acquisto. Che per definizione è in contanti, mentre quella che è stata lanciata dal Montepaschi su Mediobanca a gennaio di quest’anno era un’offerta di scambio in carta, cioè azioni Mps contro azioni Mediobanca, alle quali in un secondo momento si aggiunta una mancia in contanti. L’operazione si è poi conclusa a settembre con la consegna a Siena (quindi a Caltagirone, Delfin, ministero dell’Economia e Bpm) di Mediobanca e della sua più importante partecipazione, il 13% delle Generali, cassaforte d’Italia. Obiettivo, quest’ultimo, che Lovaglio ha sempre dichiarato di non considerare primario. Anzi. Oggi però veniamo a sapere che non era così. “Generali è strategica fin dall’inizio“, commenta il banchiere a Caltagirone il 28 aprile 2025, quando Mediobanca ha annunciato di voler scambiare la sua quota in Generali con Banca Generali. Se ci fosse riuscita, avrebbe sminato la bomba Mps perché senza Generali non sarebbe stata più appetibile. Nel dialogo, sintetizzato nell’atto di perquisizione, secondo i pm Lovaglio spiega che le sue “dichiarazioni pubbliche in senso opposto fossero un espediente (…) per non rendere palesi gli accordi con i soci Caltagirone e Delfin che (…) fin dall’inizio puntavano su Generali”.

In Procura ricordano come dal 2019 al 2024 si sia assistito a un costante investimento “a scacchiera” in Mediobanca e Generali da parte di Delfin e del Gruppo Caltagirone e si rileva come sia “del tutto irragionevole sostenere che i comportamenti dei due azionisti”, con votazioni o astensioni dal voto sempre allineate, “siano stati finalizzati solo a ottimizzare profitti di investimenti finanziari e non piuttosto il frutto di un accordo su un progetto, anche sufficientemente preciso, volto a far parte in maniera determinante degli assetti di potere di Mediobanca e Generali”, si legge ancora nell’atto di perquisizione.

Il costruttore-editore romano e la holding della famiglia Del Vecchio a novembre del 2024 insieme avevano già più del 25% di Mediobanca, ma non avrebbero potuto lanciare un’Opa sul 100% di Piazzetta Cuccia per questioni regolamentari, essendo soggetti industriali e non finanziari. Fondamentale quindi il veicolo Mps, una banca che era a portata perché il governo ne avrebbe dovuto dismettere una quota importante entro la fine dell’anno, come era noto per via di accordi con l’Europa e come poi accaduto con la procedura di vendita accelerata (accelerated bookbuilding o abb) del 13 novembre 2024. Alla quale Caltagirone e Delfin partecipano insieme a Bpm facendo la parte del leone. E sono state proprio le modalità con le quali il 15% di Mps è stato venduto che hanno attirato l’attenzione degli inquirenti.

“Non è spiegabile, se non nel senso di voler pilotare l’attività di dismissione, l’affidamento, di un anno fa, del ruolo ‘di bookrunner unico a Banca Akros, intermediario con una sola esperienza di Abb alle spalle, peraltro di entità notevolmente inferiore a quella in esame, laddove i precedenti Abb del Mef erano stati affidati a un pool di banche internazionali come Ubs, BofA, Jefferies, oltre che a Mediobanca, spiega la Procura nell’atto di perquisizione. Secondo il Corriere, però, “il Mef-Ministero dell’Economia e delle Finanze del governo Meloni, non indagato solo perché la procedura accelerata non può essere ritenuta ‘gara pubblica‘ sulla scorta del decreto ministeriale 2020 che regolava le dismissioni: altrimenti, osservano gli inquirenti elencando una complessa sfilza di ‘opacità e anomalie’, ci sarebbero stati tutti ‘gli elementi di fraudolenza per integrare il reato di turbativa d’asta‘. Infatti, benché ‘organizzata in modo da apparire come una gara competitiva e trasparente‘, la dismissione di queste quote governative di Mps fu ‘viceversa costruita in modo tale che risultassero acquirenti i soggetti che avevano condiviso e che avrebbero beneficiato del progetto di controllo di Mediobanca‘ benedetto proprio da Palazzo Chigi”. Cioè Caltagirone e Delfin, oggi in testa all’azionariato di Mps e, quindi, di Mediobanca e Generali.

Quindi a parte un tema di conflitto d’interessi dell’arbitro, regolatore e giocatore, con relativo danno d’immagine, comunque vada a finire l’inchiesta, al momento il Tesoro ne esce senza strascichi giudiziari. Ci sono però le ripercussioni politiche e il danno collaterale dell’utilizzo del golden power che ha tenuto Unicredit fuori dalla partita, visto che in caso di conquista di Bpm la banca di Andrea Orcel si sarebbe trovata tra i soci rilevanti di Mps. Ora i conti su quest’ultimo capitolo sono in corso a Bruxelles e al Consiglio di Stato e bisognerà aspettare a lungo per vedere come andrà a finire.

Sembra poi destinata a uscire senza ripercussioni rilevanti anche l’operazione Mps-Mediobanca che comunque è già stata conclusa e perfezionata. Ma bisognerà vedere al termine dell’indagine, quando le carte saranno tutte note. E in ogni caso, anche qui, il danno d’immagine non è secondario. Soprattutto per Lovaglio, che puntava a un rinnovo del mandato. Ma anche per Milleri che, in quanto numero uno di Essilor – Luxottica, deve rispondere alle regole francesi e alle lagnanze dei suoi litigiosi azionisti-eredi di Leonardo Del Vecchio. Poi, se gli illeciti fossero provati, ci sarebbero delle sanzioni e ci potrebbero essere delle richieste di risarcimento da parte degli azionisti che hanno ricevuto carta invece di moneta sonante, ma anche qui, previa dimostrazione dell’effettivo danno. Oltre che, appunto, dell’abuso che non è nè scontata nè facile da ottenere.

Aggiornato dall’autrice il 30 novembre 2025 alle 20.00