
La proposta di Azione per la creazione di uno 'scudo democratico' rappresenta un rischio per il pluralismo e la libertà di espressione
di Angelo Palazzolo
Lo scudo democratico proposto da Azione è uno schiaffo a tutte le menti libere, indipendenti e sinceramente democratiche del nostro Paese. Una misura che mira a diminuire il pluralismo delle fonti di informazione, restringendo di fatto il diritto ad un’informazione libera. Una proposta normativa paternalistica e autoritaria che tratta il cittadino come un suddito ignorante, a cui far indossare un paraocchi etichettato “scudo democratico”.
Ma andiamo con ordine e vediamo di capire in concreto di cosa stiamo parlando. Con l’Atto Senato 1472, il partito di Calenda propone un disegno di legge per modificare l’art. 61 della nostra Costituzione, così che, a certe condizioni, sia possibile interrompere il processo elettorale, annullare il voto (sic!) e farlo ripetere. In altre parole, si vuole costruire una cornice normativa a quello che è già successo in Romania con le elezioni del 24 novembre scorso e che ha riacceso la vexata quaestio del “paradosso democratico”: per difendere la democrazia si utilizzano metodi non democratici.
Se l’A.S. 1472 diventasse Legge, il risultato di ogni elezione potrebbe essere messo in dubbio per presunte irregolarità durante la campagna elettorale. Irregolarità che in questo temerario disegno sono chiamate “ingerenze straniere”. Niente di più astratto, vago ed interpretabile a seconda delle convinzioni geopolitiche di chi detiene il potere in un determinato momento. Infatti, che cos’è un’ingerenza? Se un’ingerenza è, come da definizione Treccani: “L’azione, il fatto o anche il diritto, d’intromettersi e di esercitare una qualsiasi influenza in cose che riguardano altri soggetti”, allora dal 1946 ad oggi non c’è stata una sola elezione politica nazionale in Italia che non abbia subìto delle ingerenze straniere.
Quelle nord-americane sono state lapalissiane e determinanti; quelle russe certe, anche se meno efficaci; quelle di altre potenze straniere (dagli Stati arabi a Israele, dal Regno Unito alla Cina) molto probabili, anche se ognuna con un impatto diverso, solitamente proporzionale al livello di radicamento di quella potenza straniera nelle istituzioni e nella società italiana, attraverso lobby, ambasciate, istituti di cultura, associazioni, imprese, think tank e altri stakeholder nazionali e stranieri. Nulla di nuovo, nulla di sconvolgente, nulla di antidemocratico. Lo definirei un normale processo di influenze all’interno di nazioni libere e aperte allo scambio socioculturale con l’esterno.
Il partito di Calenda evidentemente non la pensa allo stesso modo e, non ancora soddisfatto della modifica costituzionale proposta, presenta anche l’A.S. 1473, un ddl ordinario con cui si propone di istituire dei “Comitati di analisi” con la prerogativa di applicare bollini a contenuti e a soggetti che – si ritiene – diffondano disinformazione sul web. Curiosamente qualche mese fa, in un mio post, avevo proposto di mettere il bollino “messaggio promozionale” a chiunque parlasse in evidente conflitto di interesse. La mia era un’iperbole intenzionalmente provocatoria: quale soggetto – in una democrazia liberale – può arrogarsi il diritto di distribuire patenti di affidabilità o, peggio ancora, di verità?
In una società democraticamente matura – come vogliamo sia la nostra – la verità deve emergere dal confronto dialettico delle idee, non si può imporre per legge. Le idee, anche le più abiette e infime, devono poter concorrere liberamente in un’arena ideale dove le migliori si affermano e le peggiori periscono; non c’è alcun posto in quest’arena per la censura. Non è forse questa la concezione illuministica della libertà di espressione? Sintetizzabile nella famosa e fortunata frase della scrittrice Evelyn Beatrice Hall: “I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it”.