
Un clima da caccia alle streghe che riporta l’America indietro di qualche secolo
di Carmelo Zaccaria
Della cerimonia funebre svolta a Glendale, in Arizona, in onore del giovane attivista ultra conservatore Charlie Kirk, celebrato martire per acclamazione, si ricorderà l’entrata in scena di un gigantesco crocifisso trainato su rotelle e la catenina d’oro di Kirk ancora macchiata del suo sangue, presentata in forma di sacra reliquia, alla venerazione di una folla delirante, dalla moglie, che poi, commossa, ha tenuto a precisare che con la sua morte “Dio ha compiuto il suo piano”.
Quando si piega il nome di Dio ai propri fini, quando diventa un Dio idolatrato e mercificato, ristretto a strumento ideologico di potere e di predominio la sua opera di redenzione del mondo viene inevitabilmente immiserita. Spogliato della sua parola, osannato in maniera impudica e spettacolare, l’intervento divino anziché svegliare le coscienze e sollecitare un sentimento di pietas, viene evocato per incitare all’odio, divenendo, suo malgrado, ostaggio di marketing politico, ad uso e consumo di folle inferocite, disperdendo il senso profondamente spirituale del suo verbo.
Mentre il pastore emerito Rob McCoy declamava: “Stasera con noi c’è un ospite speciale, non annunciato nel programma. È Dio, che ha guidato la vita di Charlie, e ora ci chiede di seguire il suo esempio”, ci sarebbe da chiedersi: quale esempio? Quello dell’ascolto e della contrizione o quello del rancore e delle saette implacabili? quello di purificarsi nello sguardo dell’altro, scongiurare atti di violenza o quello di fomentare astio, polarizzare gli estremi, richiamare guerre di religione divulgando il richiamo evangelico come devastante amplificatore di disprezzo ed intollerante oltranzismo? O forse propagandando un Dio vendicativo e malvagio che non ammonisce e conforta ma che legittima, come ha scritto Recalcati, persino l’uccisione nel suo nome?
Una paura ancestrale si è impadronita di quel palco, sequestrando le anime di quei credenti dentro un presente ostile di rivalsa ed un futuro opaco di indulgenza, privo di mistero.
Non ci si aspettava una distorsione così smaccata e miserevole dei principi evangelici in un Paese dove è capillare la presenza di chiese e confessioni cristiane di ogni tipo, le cui funzioni liturgiche sembrano regredire a volte, per la loro semplificazione, a celebrazioni in stile woodoo, intrisi di una simbologia religiosa imperniata su canti sepolcrali e invocazioni mistiche con momenti di possessione e sacrifici umani che implorano solo sangue e vendetta.
Un intruglio di idolatria ha dunque pervaso l’atmosfera di quell’assise, tra proclami salvifici, progetti di beatificazione e furiose invettive riservate ai nemici; un clima da caccia alle streghe che riporta l’America indietro di qualche secolo sino a toccare i tempi del puritanesimo più becero e sanguigno, quando si proclamava la suprema autorità di Dio sulle questioni umane e la rigida osservanza agli insegnamenti biblici, inseguendo una purezza morale intonsa e impresentabile.
Allora si bruciavano le streghe che venivano perseguite e condannate con una facilità disarmante, così facendo si sperava di poter affrancare la propria anima concedendole un po’ di pace interiore, di dislocare il diavolo tentatore che era in loro, sui corpi martoriati delle famigerate peccatrici. Un’atmosfera turpe che si ritrova nel racconto di Nathaniel Hawthorne La Lettera Scarlatta in cui la povera Hester Prynne è costretta ad indossare sul petto una lettera scarlatta “A” come simbolo del suo peccato di adulterio in una comunità puritana del XVII secolo; una punizione inflitta per esibire la colpa e la vergogna della donna.
Hawthorne usa il pretesto della lettera “A” per criticare il fanatismo e l’ipocrisia della società puritana, che punisce un peccato pubblico, mentre nasconde la colpa di altri, come il reverendo Dimmesdale, amante di Hester, il quale finisce per tormentarsi per la propria vigliaccheria e doppiezza, in quanto predica ripetutamente contro il peccato, ma il primo a peccare era proprio lui.