Ambiente

Roma, rivolta contro le nuove ciclabili imposte dall’alto: così si stravolgerà la vita di migliaia di persone

La transizione ecologica è tale non se calata dall'alto, ma se si intreccia con i mille aspetti della realtà

Come non essere favorevoli a nuove piste ciclabili a Roma? Come non sperare in una città con meno macchine, pericolose, inquinanti, inquietanti, e più biciclette, agili e pulite?

Eppure, a Roma, nei quartieri Flaminio e Parioli, contro le nuove ciclabili in questi giorni è in corso una vera e propria rivolta. Si sono fondati comitati di cittadini, sono stati messi cartelli di protesta, si sta creando un vero e proprio movimento “no ciclabili”. Il motivo è chiaro: le ciclabili toglieranno parcheggi, e non pochi, ma centinaia. Il noto sito “Roma fa schifo”, che come obiettivo principale ha quello di una lotta senza quartiere alle macchine, sta seguendo la battaglia dei residenti, senza lesinare, purtroppo, insulti di ogni tipo. Il paragone con le altre città europee è continuo: sfilano immagini di Parigi e Copenaghen senza macchine, piene di verde, ciclabili e persone che camminano col cane al guinzaglio.

Ma Roma non è Parigi. Non lo è perché a Roma manca una metro capillare, gli autobus sono spesso poco comodi e troppo lenti, per non parlare del fatto che, per quanto la situazione sia nettamente migliorata, non si sa mai esattamente quando arrivano. Ma Roma non è Parigi perché a Roma non sono mai state fatte in questi anni campagne di sensibilizzazione e informazioni per lasciare la macchina e prendere i mezzi.

Bisogna essere onesti fino in fondo. Chi vive a Roma ha una gestione della giornata complicata, specie se ha figli da accompagnare. La questione dei parcheggi sta diventando una lotta di tutti contro tutti, perché trovarlo è un terno al lotto e in ogni quartiere c’è un equilibrio difficile. Come residente a Roma, non nelle zone citate, ma in una zona con pochissimo, quasi nullo parcheggio, come quasi ovunque a Roma, so esattamente su quanti posti posso contare per parcheggiare la macchina (che pure non uso praticamente mai), e sono benissimo cosciente che se, ad esempio, togliessero dei parcheggi in una strada intera, cambierebbe completamente il tempo impiegato ma anche la stessa possibilità di trovarlo, un parcheggio, con il risultato di non sapere letteralmente dove mettere la macchina e l’ulteriore risultato di un enorme stress e disagio.

Si dirà che solo in questo modo si cambiano le cose. Si dirà, ed è verissimo, che i romani sono attaccatissimi alla macchina e non cercano alternative. Ma proprio qui deve intervenire l’amministrazione. Anzitutto, non si possono cancellare centinaia di posti per disegnare piste ciclabili modificando l’equilibrio di un intero quartiere, parliamo di decine di migliaia di persone, se non si coinvolge il quartiere stesso. E’ faticoso, è difficile, richiede tempo che non c’è. Eppure è indispensabile. Le persone che dovranno cambiare vita devono sapere perché, devono soprattutto poter dire la loro, sentirsi partecipi del cambiamento, capirne anche eventuali benefici per le loro vite. Altrimenti, si percepiranno solo come vittime e il risultato sarà disastroso.

Inoltre, se si tolgono centinaia di parcheggi, occorre che il municipio si spenda per informare tutti i residenti delle alternative. Ci vorrebbe un sito, uno sportello, un qualsiasi punto dove i cittadini spiegano verso dove devono spostarsi e vengono aiutati a capire come potrebbero farlo con i mezzi. Magari scoprendo che è molto meglio della macchina (forse: nei quartieri di cui parliamo, la metro è assente. E ormai il clima di Roma peggiora tutto, perché d’estate il caldo torrido spinge a prendere la macchina. Solo nel 2025 a Roma sono state installate alle fermate, e solo in alcune zone, nuovissime pensiline coperte con soli due, dico due posti a sedere sotto perché il resto è preso dalla pubblicità).

In conclusione: i cambiamenti urbani devono essere fatti coinvolgendo la cittadinanza. Questo è un tema importantissimo, di cui purtroppo Gualtieri non sembra assolutamente a conoscenza, visto che ha cambiato il volto di Roma, con i nostri soldi e non sempre in meglio, senza nessun elemento di partecipazione dal basso. Anzi, qualsiasi opera, a Roma come a Milano, a destra come a sinistra, ormai viene decisa rapidamente da un piccolo gruppo di persone che decide per tutti.

Ma lo spazio pubblico non può essere gestito da pochi. A maggior ragione quando non si tratta di rifare una piazza, ma stravolgere la vita dei residenti. Così, tra l’altro, si porteranno le persone ad odiare cambiamenti ecologici importanti e positivi. Ad odiare, letteralmente, misure sbandierate come green ma che non tengono conto anche degli aspetti sociali e concreti. Mentre le lobby avverse al cambiamento strumentalizzano benissimo la protesta, come si vede in questi giorni sul Messaggero, dove non manca il quotidiano articolo contro le ciclabili (come mesi fa contro i tram).

Purtroppo, così non va bene. Ci servono altri modelli, più complessi, ma capaci di rendere tutti protagonisti di un cambiamento, che potrà essere davvero tale solo se condiviso e partecipato.

La transizione ecologica è tale non se calata dall’alto, ma se si intreccia con i mille aspetti della realtà. E soprattutto con le diverse e spesso contraddittorie esigenze di cittadini che non sono contro il clima, né contro una città migliore, ma temono l’aggiunta di ulteriore stress, fatica e difficoltà in vite che già semplici non sono. Sarebbe meglio ascoltarli.