
La premier usa un'espressione ambigua che non attribuisce responsabilità e normalizza la violenza fino a una soglia "tollerabile"
di Lucio Aquilina
“Israele ha superato i limiti a Gaza.” Con questa frase, pronunciata con apparente gravità, Giorgia Meloni ha voluto segnalare una presa di distanza dalle azioni israeliane. Ma il linguaggio tradisce il pensiero: non c’è condanna, non c’è accusa, non si attribuisce responsabilità. È una formula anodina e reversibile, capace di significare tutto e il contrario di tutto. Dire “ha superato i limiti” consente di riconoscere che qualcosa è andato storto senza nominare ciò che è accaduto: crimini di guerra, violazioni della Convenzione di Ginevra, punizioni collettive, uso della fame come arma, occupazione militare e apartheid.
Il linguaggio così costruito neutralizza il conflitto trasformando la violenza coloniale in un problema di “misura” e normalizza l’ingiustizia suggerendo che esista una soglia entro la quale l’orrore sia tollerabile. Se esistono dei “limiti”, significa che fino a un punto — non definito — la distruzione era accettabile. Come se 20.000 morti civili fossero “entro i limiti” e 60.000 “oltre”.
Questa non è un’imprecisione retorica ma una scelta politica: il tentativo di conciliare lo sdegno dell’opinione pubblica con la volontà di non incrinare l’asse strategico con Israele e gli Stati Uniti.
L’ambiguità della frase riflette una mentalità coloniale mai superata: la violenza del dominatore non è mai chiamata col suo nome, ma definita “ordine pubblico”, “pacificazione”, “lotta al terrorismo”. Così si legittima l’occupazione, si cancella il contesto storico di espropri e blocchi e si trasforma il colonizzato in colpevole. Non è incapacità di analisi, ma rifiuto di riconoscere l’asimmetria del potere e la natura coloniale del conflitto, lo stesso rifiuto che unisce Meloni alla destra israeliana e alle nuove destre europee.
L’assurdità del concetto di “limite” emerge chiaramente se applicata ad altri contesti storici: se i tedeschi avessero deportato solo pochi ebrei e non bruciato Marzabotto, forse l’occupazione sarebbe rimasta “entro i limiti”; se alle Fosse Ardeatine fossero state uccise 30 persone anziché 335, la rappresaglia sarebbe stata “proporzionata”; se gli Usa avessero sganciato una sola bomba atomica, non avrebbero “oltrepassato il limite”. Questi paradossi mostrano come parlare di “limiti” significhi accettare la violenza come parte legittima dell’ordine politico e discuterne solo le modalità.
La frase di Meloni rivela la sua incapacità politica di leggere i conflitti nel loro contesto storico e morale e di chiamare le cose con il loro nome. Gaza non è una “questione di sicurezza”: è colonialismo, autodeterminazione, diritto internazionale. L’adesione a un blocco politico che vede Israele come avanguardia dell’Occidente armato implica che la violenza non va condannata ma gestita nei “limiti” del consenso.
Ma la verità resta: non ci sono limiti accettabili alla distruzione di un popolo, né soglie che rendano legittimo l’apartheid. E nessun linguaggio potrà cancellare la responsabilità di chi, come Giorgia Meloni, sceglie di stare dalla parte di chi bombarda i bambini e chiama questo massacro “difesa”.