Politica

Global Sumud Flotilla, cosa dice il diritto del mare sull’assedio di Gaza

Non si tratta di un gesto di buona volontà da parte di Crosetto: gli Stati hanno obblighi sanciti dalla legge, incluso "escalare" la questione sul piano diplomatico se Israele usasse la forza

Gli attacchi con i droni definiscono una situazione complessa per la Global Sumud Flotilla nell’immediato, ma soprattutto aprono diversi scenari che potrebbero prendere forma in seguito. Per ora, l’invio della fregata Fasan della Marina militare da parte del governo “in soccorso” degli attivisti a bordo (senza nominare Israele ma informando ufficialmente il governo di Tel Aviv, entrambi dettagli non da poco) vuol dire molto: il governo Meloni, insomma, per quanta poca simpatia possa avere verso i suoi concittadini a bordo e quanta invece ne abbia per Israele, ha l’obbligo di prestare assistenza agli attivisti italiani della missione, se la situazione con il governo di Netanyahu dovesse volgere al peggio.

No, non si tratta di un gesto di buona volontà da parte di Crosetto o di un’improvvisa svolta da parte dell’esecutivo: gli Stati hanno doveri sanciti dalla legge, incluso “escalare” la questione sul piano diplomatico qualora Israele decidesse di usare la forza. La frase alla stampa di Crosetto: “In democrazia anche le manifestazioni e le forme di protesta devono essere tutelate quando si svolgono nel rispetto delle norme del diritto internazionale e senza ricorso alla violenza” significa che il governo, alle strette, tra Parlamento occupato e proteste di piazza, è stato costretto ad assolvere ai suoi obblighi.

Gli attivisti sanno che raggiungere la costa di Gaza è un’impresa molto difficile e le probabilità che l’esercito israeliano ceda sono remote. A maggior ragione, qualunque decisione prenda l’IdF nell’immediato potrebbe avere conseguenze politiche, ma soprattutto giuridiche. Per questo ho fatto una chiacchierata con una giurista esperta di diritto del mare: Seline Trevisanut, docente di diritto internazionale all’Università di Utrecht, che ha le idee molto chiare sulla situazione.

Intanto va sottolineato che le azioni delle flottiglie sono un caso complicatissimo dal punto di vista giuridico, come per le Ong di salvataggio in mare, e la tematica tiene occupati da anni giuristi e tribunali internazionali. Ma non lo sono per niente sul piano delle responsabilità: Israele non ha diritto di agire direttamente contro imbarcazioni umanitarie regolarmente registrate che si trovino in acque internazionali. Se non esistono requisiti di urgenza e necessità – e per una missione globale annunciata da settimane è difficile convincere qualcuno che possano esserci – Israele non ha alcun diritto sulle navi e nessun diritto di intervenire senza aver prima esaurito una check list diplomatica con gli Stati di bandiera delle navi coinvolte. Ammesso, nel caso dell’Italia, che il ministro Tajani tenga il cellulare acceso. Per ora, sappiamo che quello di Crosetto funziona.

Inoltre: “Il sequestro di una nave a decine di miglia dalla costa non può essere giustificato come se fosse nelle acque sotto il loro controllo”, mi ha detto la docente. Non va bene nelle acque “occupate” di Gaza, figuriamoci a centinaia di miglia marine.

Un altro dato certo, mi spiega, è che gli interventi nelle acque internazionali sono illegali. D’altronde è proprio l’occupazione ad essere illegale: lo ha stabilito la Corte internazionale di Giustizia nel 2024, quando ha emesso un parere sulla legalità dell’occupazione israeliana. Quel parere, per quanto non abbia forza vincolante, rappresenta un appoggio solido per casi futuri portati davanti a tribunali nazionali o internazionali.

Non è scontato, perché l’assedio come tattica militare non è illegale di per sé: sono altre violazioni, tutte quelle contro la popolazione civile, a costituire lo spartiacque tra diritto internazionale di guerra e diritto umanitario. Quella a Gaza è una guerra “asimmetrica”, con un esercito contro milizie armate (e Hamas è un caso particolare perché sanzionata come organizzazione terroristica solo da una manciata di Stati – circa 40 – e dall’Ue, ma non dall’Onu); i profili giuridici diventano quindi tanto indefiniti da rendere il lavoro di ricerca e identificazione un rebus infinito, prestando il fianco a facili strumentalizzazioni politiche.

Israele mantiene un controllo su confini, spazio aereo e marittimo e, secondo il suo punto di vista, ciò giustificherebbe il blocco delle azioni umanitarie come quelle della Flotilla. Gli stessi attacchi alle imbarcazioni, dal loro punto di vista, sarebbero azioni preventive per evitare che le navi giungano in “area militare vietata”. Ovviamente torniamo al rebus iniziale: gli attivisti ritengono che l’occupazione sia illegale e i corridoi umanitari garantiti dal diritto internazionale, mentre Israele sostiene di assolvere al suo compito consentendo l’ingresso di derrate alimentari sufficienti a sfamare la popolazione. Prove documentali indicano esattamente il contrario, e in questo senso il muro contro muro è assoluto.

Ora che una nave della Marina militare del nostro Paese protegge attivisti italiani a bordo della Flotilla e sotto attacco, si aprono molti scenari nuovi: il governo che straparla di legalità pensava di cavarsela facendo finta di nulla e invece si trova davanti a un duro reality check, obbligato dalle circostanze a fare quello che deve.

Aggiornato da redazioneweb il 25 settembre alle 10