
di Marco Marangio
Meno storie, meno contenuti, eppure si è comunicato. Non sempre i social sono un male. Sono uno strumento e, come tale, tutto dipende da come viene utilizzato. Prova ne è stato lo sciopero per Gaza del 22 settembre.
Organizzato in 80 piazze italiane (tutte piene), con tangenziali e porti bloccati, lo slogan “blocchiamo tutto” ha contribuito a veicolare il messaggio di sdegno contro il genocidio. Lo sciopero è passato anche tra le “roccaforti” di Meta: su Facebook e Instagram content creator e influencer hanno manifestato il loro dissenso evitando di pubblicare qualsiasi tipologia di contenuto che non fosse a tema Gaza. Semplicemente. Fra stories a schermo nero con “Blocchiamo tutto” come slogan, i social media hanno veicolato massivamente un netto “No” alle operazioni di sterminio di Israele.
Questo ottimo esercizio comunicativo ci insegna almeno due cose: in primis che, se utilizzati bene, i social possono davvero essere uno strumento utile a comunicare e a fare rete; e poi che l’unione di intenti può combattere l’algoritmo. Lo stesso algoritmo che finora ha impedito la normale indicizzazione dei contenuti a tema Gaza. Lo stesso algoritmo che teme la parola genocidio a tal punto da mettere in “shadowban” i profili e i post che ne parlano. Ecco, quello stesso algoritmo ha potuto fare ben poco contro le centinaia di stories e reels che hanno raccontato cosa accadeva nelle piazze.
Il motivo principale è uno: un algoritmo non può fare a meno di mostrare ciò che genera tendenza e interazioni sulla sua piattaforma. Se a fare tendenza è un video generato con AI che grida “Skidibi Boppy” lui mostrerà quel contenuto sulle bacheche degli utenti. Se a fare tendenza è un video girato in diretta dalle piazze italiane al grido di “Stop al genocidio”, inizierà a mostrarlo a più utenti. Nonostante lo “shadowban”.
Fra le tante cose, lo sciopero del 22 settembre ci ricorda che comunicare è importante. Come utilizzare i social lo è ancora di più.