
Confermata la sentenza di primo grado. Un anno e due mesi al braccio destro di Schiavone e all'avvocato Santonastaso. L'autore di "Gomorra: "Mi hanno rubato la vita"
Sono state confermate in Appello le condanne per le minacce, aggravate dal metodo mafioso, rivolte in aula nel 2008 durante il processo di secondo grado “Spartacus” a Napoli alla giornalista Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano. Con la sentenza emessa dai giudici della Prima sezione della Corte di Appello di Roma è stata ribadita la decisione di primo grado del 24 maggio 2021 che ha riconosciuto le minacce aggravate dal metodo mafioso condannando il boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, a un anno e sei mesi e l’avvocato Michele Santonastaso a un anno e due mesi. “Mi hanno rubato la vita” ha commentato Saviano dopo la sentenza. Lo scrittore dopo aver ascoltato il dispositivo letto dai giudici ha abbracciato in lacrime il suo legale, Antonio Nobile, e dall’aula è partito un applauso.
“La condotta ascritta ai due imputati è inserita nel contesto di criminalità organizzata proprio della cosca dei Casalesi di cui Bidognetti era capo. La minaccia e l’intimidazione rivolta platealmente contro i due giornalisti fu espressione di una precisa strategia ideata dallo stesso capomafia, il cui interesse era quello di agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan e di rafforzarne il potere”, avevano scritto i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza di primo grado. Nel procedimento sono parte civile la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei giornalisti della Campania.
I fatti al centro della vicenda risalgono appunto al 13 marzo 2008, quando, durante le conclusioni della difesa nell’appello del processo “Spartacus” che vedeva imputati a Napoli oltre 115 appartenenti alla camorra, l’avvocato Santonastaso, legale di Bidognetti, produsse e lesse in aula un documento di ricusazione dei giudici, motivato con un presunto condizionamento dovuto alla pressione mediatica. In particolare, la suddetta pressione sarebbe derivata dal best-seller di Saviano, Gomorra, che secondo la difesa aveva tentato di “condizionare l’attività dei giudici”, rimproverando agli organi di informazione di non aver dato rilevanza mediatica al processo. Rosaria Capacchione, invece – allora cronista del Mattino di Napoli – era accusata di aver favorito con i suoi articoli l’operato della Procura. Il documento di Santonastaso aveva suscitato l’indignazione della politica e dei media, in quanto i riferimenti personali erano stati considerati minacce gravi e non espressione di un genuino diritto di difesa, come confermato, di nuovo, da questa sentenza d’appello.
(ANSA) – ROMA, 14 LUG – “Sedici anni di processo non sono una vittoria per nessuno – ha detto lo scrittore – ma ho la dimostrazione che la camorra in un’aula di tribunale, pubblicamente ha dato la sua interpretazione: che è l’informazione a mettergli paura. Ora abbiamo la prova ufficiale in questo secondo grado che dei boss con i loro avvocati firmarono un appello dove – sottolinea Saviano – misero nel mirino chi raccontava il potere criminale. E non attaccarono la politica ma il giornalismo insinuando che avrebbero ritenuto i giornalisti, e fu fatto il mio nome e quello di Rosaria Capacchione, i responsabili delle loro condanne. Non era mai successo in un’aula del tribunale in nessuna parte del mondo”. (ANSA).