
L'ex procuratore nazionale antimafia ricorda che proprio grazie alla legge che ha permesso al boss di uscire sono stati possibili molti altri arresti. Maria Falcone: "Brusca criminale, ma la sua collaborazione con la giustizia ha avuto un forte impatto su Cosa Nostra"
“Lo so, la prima reazione alla notizia della liberazione di Brusca è provare rabbia e indignazione. Vale per tutti, anche per me. Ma dobbiamo evitare reazioni di pancia e ragionare insieme. La legge per cui ora, dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, è considerato libero l’ha voluta Giovanni Falcone, ed è la legge che ci ha consentito di radere al suolo la cupola di Riina, Provenzano e Messina Denaro, che negli anni 80 e 90 ha insanguinato Palermo, la Sicilia, l’Italia”. Capisce i parenti delle vittime della strage di Capaci Pietro Grasso, già procuratore nazionale antimafia e presidente della Fondazione scintille di futuro, che hanno espresso delusione rispetto alla liberazione di Giovanni Brusca, ma allo stesso tempo ricorda che proprio grazie alla legge che gli ha permesso di uscire – caldeggiata dallo stesso Falcone – si è avviato un processo di collaborazione con la giustizia che ha portato a centinaia di altri arresti, disinnescando ulteriori tragedie.
“Grazie ai segreti confessati da Brusca infatti abbiamo potuto evitare altre stragi, incarcerare centinaia di mafiosi e condannarli a pene durissime e centinaia di ergastoli. Ripeto – ha aggiunto Grasso – quello che ho detto quattro anni fa: con Brusca lo Stato ha vinto tre volte: quando lo ha catturato, quando lo ha convinto a collaborare e ora che è un esempio per tutti gli altri mafiosi. L’unica strada per non morire in carcere come Riina, Provenzano e Messina Denaro – prosegue Grasso – è collaborare con la giustizia. Certo è che se mai dovesse commettere un qualsiasi tipo di reato non avrà alcuno sconto”. Poi evidenzia cosa veramente lo “preoccupa” e cioè il rischio “di concedere benefici a chi, come Graviano, non ha mai collaborato. Il modo in cui uno Stato onora le vittime – conclude Grasso – è contrastando la mafia e cercando di sconfiggerla con tutte le forze e con tutta la forza del diritto”.
Le dichiarazioni di Grasso arrivano dopo gli interventi di Tina Montinaro, la vedova del capo scorta di Falcone, Antonio Montinaro, morto a Capaci, e l’autista del giudice Giuseppe Costanza, sopravvissuto alla strage del 23 maggio 1992. “Lo so bene che è stata applicata la legge ma sono molto amareggiata. Ritengo che questa non è Giustizia né per i familiari né per le persone per bene. A distanza di 33 anni i processi continuano e noi familiari non sappiamo la verità – ha detto Montinaro -. Credo sia indegno che Brusca, per quanto abbia avuto accesso alla legge sui collaboratori di giustizia sia libero. Mi aspetto che la città si indigni dinanzi a questa notizia. Se è vero che è cambiata. Ritengo che non si possa rimanere indifferenti”, ha dichiarato Montinaro, e anche Costanza si dice “molto amareggiato”. “Queste persone che hanno ucciso anche bambini non dovrebbero uscire più di prigione – ha dichiarato l’autista di Falcone -. Essere scarcerati dopo 25 anni e magari con qualche vitalizio. E’ un premio? Dovrebbero uscire dalla tomba anche Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro Rocco Dicillo. E invece adesso Brusca ce l’abbiamo in giro. Viva l’Italia. Ecco, adesso festeggiamo la liberazione“. Quanto alla legge che ha consentito la libertà di Brusca, “va applicata – aggiunge Costanza – ma io su questo è meglio che non mi pronuncio. Ribadisco che quando ci sono stragi con tante persone uccise, ci dovrebbero essere giudici più consapevoli. Perché non è corretto che lui sia un uomo libero. Brusca ha scontato 25 anni di detenzione ma chi è morto non torna più in vita”.
A sottolineare, come ha fatto Grasso, che a determinare la libertà del boss è stato proprio il rispetto della norma voluta dallo stesso Falcone, è anche la sorella del giudice, Maria. Pur non potendo “nascondere il dolore e la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre – dice – come donna delle Istituzioni, sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno”. Maria Falcone ricorda che Brusca “ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia che ha avuto un impatto significativo sulla lotta contro Cosa Nostra. Le sue confessioni hanno contribuito all’arresto di numerosi mafiosi e alla confisca di beni illeciti“. Ci sono però dei punti oscuri, perché la sua collaborazione non è stata “pienamente esaustiva. In particolare – prosegue Maria Falcone -, rimane tuttora un’area nebulosa quella riguardante i beni a lui riconducibili, per i quali la magistratura ha il dovere di continuare a indagare e chiarire ogni dubbio: colpire i mafiosi nei loro interessi economici è la pena più dura, privarli del denaro è ciò che li annienta davvero”. Ma se da “donna delle Istituzioni” riconosce la legge, sul piano personale Maria Falcone esprime un giudizio diverso. “Brusca – ricorda – è autore di crimini orrendi, come il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, che fu tenuto prigioniero per 779 giorni e poi strangolato e sciolto nell’acido e non trovo parole per esprimere il mio dolore e rabbia personale che altrettanto e ancora più grande sarà da chi ha subito questi orrori. Ma proprio per questo, oggi rinnovo il mio impegno, e quello della Fondazione che porta il nome di Giovanni, a continuare a lavorare per il rispetto della legge, fondamento della nostra democrazia”, conclude.
A sollevare invece la possibilità di un correttivo alla legge è Sonia Alfano, figlia di Beppe Alfano, giornalista ucciso dalla mafia a Barcellona Pozzo di Gotto l’8 gennaio 1993, ed ex presidente della Commissione speciale europea Antimafia. È una necessità quella di rivedere quell’impianto normativo, dice, perché è datato oltre 30 anni fa. “Dobbiamo capire se va bene sempre e comunque, o va portato un correttivo“, spiega. “Io punterei l’attenzione su un aspetto che dovrebbe essere volto a correggere dopo oltre 30 anni un aspetto del genere – osserva -. E’ chiaro che chi collabora, io mi auguro che lo faccia perché è realmente pentito, ma tante volte così non è. E allora dovremmo rinnovare l’aspetto normativo per far sì che si tenda sempre più a collaborare per far sì che si tenda a collaborare e ottenere benefici esclusivamente perché si è seriamente convinti del pentimento e non una scorciatoia verso la libertà. Su questo dovremmo concentrarci in maniera profonda e in maniera univoca“.