Calcio

L’Inter e una finale di Champions giocata “in trasferta”: oltre la squadra c’è da rifondare anche la curva

Dopo i fatti di cronaca giudiziaria che hanno coinvolto la Curva Nord, l'Inter ha perso molto più di quanto si pensi: il vero 'contraccolpo sportivo' dell'inchiesta ultras

I giocatori annichiliti sul campo, i tifosi ammutoliti sugli spalti. Tra le tante note negative della notte maledetta di Monaco di Baviera c’è anche quella del pubblico: l’invasione del popolo nerazzurro, pacifico, festante, che si era riversato in città fin dalla vigilia lasciando pensare ad una spinta anche dentro l’Allianz Arena, poi non si è tradotta in un tifo organizzato, che potesse essere un fattore sulla partita. Niente coreografia, nessun coro, almeno non udibile. Allo stadio si sono sentiti soltanto i tifosi francesi, e questo fin dal primo minuto, ben prima che la gara fosse indirizzata, spegnendo quel poco di ardore che rimaneva ai nerazzurri. Un’altra partita nella partita in cui l’Inter è stata surclassata dal Paris Saint-Germain. Sembrerà un dettaglio banale, ed in effetti tra tutte le motivazioni che hanno portato alla debacle – mentale, tattica, tecnica e fisica – di Monaco, questa è davvero l’ultima di cui preoccuparsi. Sicuramente l’Inter non ha perso per questo. Di fatto, però, è come se avesse giocato la finale di Champions League in trasferta, e nelle coppe europee conta.

Non è stato un caso. Chi ha seguito l’Inter dal vivo negli ultimi anni sa di cosa stiamo parlando: dopo i fatti di cronaca giudiziaria che hanno coinvolto i vertici ultrà nerazzurri, la curva interista non è stata più la stessa. E anche San Siro non è stato più lo stesso: la differenza col passato, con un paio di stagioni fa per intenderci, è sconcertante. Lo stadio infuocato che era in grado di risultare il classico dodicesimo uomo in campo – espressione retorica piuttosto abusata ma davvero calzante quando si tratta di San Siro – quest’anno non si è praticamente mai visto. Spento, impaurito nei momenti di difficoltà, è stata la squadra a trascinare il pubblico e non il contrario come accadeva prima. Anche nelle occasioni più speciali: contro il Bayern, dopo lo svantaggio iniziale l’atmosfera si era fatta immediatamente cupa e chissà come sarebbe diventata senza l’uno-due che ha riequilibrato la qualificazione. Persino contro il Barcellona soltanto dopo il miracolo di Acerbi e nei supplementari si è giocato nella bolgia che una gara del genere meritava. E così si arriva al silenzio di Monaco. Per carità, i tifosi del Psg sono tra i più caldi d’Europa, difficile reggere il confronto. Ma la verità è che da una parte c’erano i rappresentanti storici del tifo organizzato parigino, dall’altra professionisti, giovani e anziani, anche famiglie, tutti tremendamente appassionati, però non certo degli ultrà. E la differenza si è vista, e soprattutto sentita tutta.

Attenzione, questa non vuole certo essere una lode di una curva che le inchieste hanno rivelato essere il centro di interessi e vicende criminali. Non c’è e non ci può essere alcuna nostalgia per quel passato. Soltanto una constatazione di fatto: se la guardiamo solo ed esclusivamente sotto il profilo del tifo, prima gli ultrà garantivano un’atmosfera che oggi non c’è, non foss’altro perché nessuno ha ancora preso il posto di quella vecchia guardia che è stata sgominata. Non poteva essere altrimenti, del resto. Dopo quanto emerso dalle indagini (collegamenti con la ‘ndrangheta, omicidi, violenze, illegalità diffusa) era doveroso fare tabula rasa. La Curva Nord della gestione Ferdico-Beretta è stata decapitata dei suoi capi e praticamente sciolta, i gruppetti rimasti per ora sono stati emarginati dalla società, che aveva probabilmente la coda un po’ di paglia per quanto successo – aver intrattenuto contatti disdicevoli, comunque aver lasciato proliferare un tessuto infetto – e quindi adesso ha dovuto prendere per forza le distanze. Da mesi a San Siro non vengono autorizzate coreografie (in una delle ultime partite di campionato era ricomparso, un timido, sparuto striscione). Per la finale non sono stati concessi biglietti agli ultras che hanno protestato sonoramente (ma era inevitabile dopo il precedente di Istanbul e quelle chiamate compromettenti che avevano raggiunto persino Simone Inzaghi). Una linea dura necessaria a ripulire completamente la curva, azzerarla, in maniera non dissimile da quanto è accaduto del resto anche alla Juventus dopo la vicenda analoga che coinvolse il club nel 2017.

Tutto giusto. Ma non indolore. L’Inter ha perso tanto da questa brutta storia, molto più di quanto sia stato raccontato. Ha giocato una finale di Champions praticamente in trasferta. E a ben vedere anche in campionato molte delle ultime partite, quelle decisive per la volata scudetto contro il Napoli, hanno visto lo sciopero del tifo (dovuto al caro prezzi ed altre recriminazioni per un rapporto con la società ormai conflittuale) nei primi venti minuti, quelli in cui di solito la squadra di Inzaghi azzanna la partita, e invece ha giocato spesso in un clima ostile, o per lo meno non favorevole. L’Inter avrebbe perso comunque? A Monaco sicuramente sì, altre volte magari il risultato avrebbe potuto essere diverso, chissà. Comunque è un fattore. Prima era positivo, adesso negativo. Si può dire che è stato questo il vero contraccolpo sportivo dell’inchiesta curve, molto più che la ridicola sanzione comminata dalla giustizia federale (una giornata a Inzaghi e Calhanoglu nel momento più favorevole in cui scontarla, una multa al club: un buffetto, anche se oggettivamente parliamo di vicende che col calcio centrano poco). L’Inter oggi non ha più un tifo organizzato: prima la squadra, poi ci sarà da pensare anche a come rifondare, stavolta in maniera sana e nella legalità, la curva nerazzurra.

X: @lVendemiale