
Altro che "etici" da un punto di vista ambientale, sociale e di pratiche aziendali virtuose: l'aria è cambiata e adesso i cosiddetti fondi Esg (Environmental, Social and Governance) prevedono anche speculazioni
C’è qualcosa di affascinante nel livello delle supercazzole raggiunto dal quel comparto della finanza che si indentifica nella sigla Esg. Le tre lettere, come noto a molti, stanno per Environmental, Social and Governance. In sostanza si tratta, o dovrebbe trattarsi, di prodotti finanziari che incanalano risparmi e denari verso investimenti “responsabili” e sostenibili da un punto di vista ambientale, sociale e pratiche aziendali virtuose. Tuttavia, sotto questa dicitura è stato via via fatta rientrare quasi qualsiasi cosa. Prima gli investimenti in combustibili fossili e ora persino le armi, incluse quelle nucleari. Potremmo definirla una finanza insostenibile.
Del resto l’aria è cambiata, i piani di transizione verde hanno perso fascino (e soldi) sia in Europa, sia negli Stati Uniti, a vantaggio soprattutto di maxi piani di riarmo. Siamo così arrivati al punto in cui ci sono gestori che garantiscono la sostenibilità degli investimenti in armi perché “i missili servono anche a difendere la democrazia”. Uno degli ultimi “restyling” è stato quello annunciato da Euronext, ovvero il gruppo che gestisce la gran parte dei mercati finanziari della zona euro, incluse le borse di Parigi, Milano ed Amsterdam: un nuovo Esg, dove la G finale non sta più per Governance ma per Geostrategia. È un modo elegante per dire armi, bombe e missili. Per la serie “parlami di armi senza dirmi che mi stai parlando di armi”, il comunicato ufficiale così recita: “Euronext ha annunciato il lancio di una serie completa di iniziative legate a Energia, Sicurezza e Geostrategia, il “New ESG”, per rafforzare l’autonomia strategica europea. Questa serie di iniziative aumenterà la visibilità delle aziende europee che operano in settori strategici e fornirà loro strumenti senza precedenti per soddisfare le proprie esigenze di finanziamento attraverso un accesso più facile al capitale”.
Stéphane Boujnah, amministratrice delegata di Euronext, ci illumina sul senso di queste iniziative: “In un contesto di tensioni globali, l’Europa deve difendere i propri valori, interessi e stile di vita (…), Gli investitori sono sempre più desiderosi di aumentare la loro esposizione alle crescenti opportunità legate agli investimenti in corso nei settori aerospaziale, difesa, energia e infrastrutture strategiche in Europa”. Insomma, non vorremo mica perderci la possibilità di investire in aziende come Leonardo o Rheinmetall che in un anno hanno raddoppiato o triplicato il loro valore?
In realtà una “proibizione” ad investire in armi non è mai esistita. Come spiega a Il Fatto Quotidiano.it Alfonso Del Giudice, professore di Finanza e direttore del master in Finanza sostenibile dell’Università Cattolica di Milano, “si tende a fare una certa confusione tra finanza etica e quella sostenibile dei prodotti Esg. In fatto di armi non c’è mai stato un divieto esplicito di investire in aziende che le producono, fatta eccezione i casi di quelli definiti ordigni controversi come sono ad esempio le bombe a grappolo, vietati da molti trattati internazionali” (Ci sono fondi che stanno valutando la rimozione anche di questo vincolo, ndr).
“Molti gestori, continua Del Giudice, avevano però sinora evitato questi investimenti per il timore di un danno reputazionale. Le iniziative di Euronext, le dichiarazioni della Commissione UE sulla necessità di coinvolgere i capitali privati nel grande piano di riarmo, sono finalizzate anche a renderli più accettabili“. Il docente ricorda pure come sia stato anche Mario Draghi ad indentificare tra le criticità del piano Rearm Ue la difficoltà nel coinvolgere i capitali privati. Jeroen Rijpkema, che guida il colosso della finanza sostenibile Triodos, che ritiene gli investimenti in armi incompatibili con la filosofia Esg poiché “il loro fine ultimo è comunque quello di fare male a qualcuno”. “Ma qui si entra in una dimensione soggettiva, osserva Del Giudice, in cui anche le armi utilizzate dalle forze dell’ordine o dalle forze di peacekeeping potrebbero essere escluse.
Va detto che il comparto della finanza sostenibile non ha mai brillato per trasparenza e coerenza. Tuttavia, quando i tassi erano a zero e cavare un rendimento decente era un’ ardua impresa per qualsiasi società di gestione, la dicitura Esg ha svolto un buon lavoro di marketing per piazzare comunque i prodotti: “Non guadagnerete tantissimo ma almeno farete qualcosa di buono per il pianeta e la società”. Non solo presso i piccoli risparmiatori ma anche agli investitori istituzionali (fondi pensione etc) che la fanno da padrone assorbendo il 94% dei prodotti Esg. Ora, complici la confusione, la migliori performance dei prodotti tradizionali e, da ultimo, le incertezze regolamentari legate agli orientamenti dell’amministrazione Trump, la finanza sostenibile segna il passo. Per la prima volta anche in Europa i deflussi hanno superato le sottoscrizioni. Eppure, forse, non tutto il male viene per nuocere. Come spiega Del Giudice, “in passato c’è stata quella che potremmo definire un’ondata di piena del comparto che ha portato dentro un po’ di tutto, incluso molto greenwashing. Questa fase può diventare l’occasione per riqualificare il settore e favorire l’emergere di prodotti più affidabili e trasparenti come sono già alcuni green bond o soluzioni di impact investing”.