
I soldi, scopriamo oggi, ci sono. Un generosissimo fiume di denaro pubblico andrà a riempire le casse delle imprese belliche. Rheinmetall, Leonardo, Indra, festeggiano
Il ReArm EU, il piano di riarmo europeo che mira a mobilitare fino a 800 miliardi di euro, squarcia lo spesso velo di ipocrisia che ricopre tutto il continente europeo. Da almeno 15 anni ogni volta che abbiamo sostenuto la battaglia contro la chiusura di un ospedale, ci dicevano: “non ci sono soldi”. Quando abbiamo rivendicato la fine del precariato di Stato e la stabilizzazione di lavoratori e lavoratrici: “non ci sono soldi”. Idem quando dalle città vittime di inondazioni, frane o altri eventi climatici avversi si chiedeva la messa in sicurezza dei nostri territori: “non ci sono soldi”.
Sempre lo stesso ritornello. Bisognava stringere la cinghia, fare sacrifici, “non lo vedi lo spread?”, “vuoi mandare sottosopra il già precario bilancio dello Stato?”, “c’è da rispettare il pareggio di bilancio, previsto dalla stessa Costituzione!” (come se non fossero state ampie e trasversali maggioranze parlamentari, di destra, centro e “sinistra”, ad aver inserito questo vincolo austeritario).
I soldi, scopriamo oggi, ci sono. Tanti. E in realtà ci sono sempre stati. Semplicemente, il blocco di potere dominante non ha alcuna intenzione di usarli per le esigenze popolari. Servono per le armi e la guerra. Un generosissimo fiume di denaro pubblico andrà a riempire le casse delle imprese belliche. Rheinmetall, Leonardo, Indra, festeggiano. Stappano bottiglie di champagne per questo ulteriore trasferimento di ricchezza dalle tasche del nostro popolo a quelle del complesso militare-industriale.
L’obiettivo è rilanciare i profitti, è il superamento di una crisi da cui le stesse classi dominanti non vedono via d’uscita e per questo si affidano alla tradizionale leva militare. Peccato che il XX secolo ci insegna che poi le cose non finiscono bene. Per i nostri almeno. Perché sono i figli del popolo a morire sui campi di battaglia, non certo quelli di von der Leyen, Trump, Putin, Macron, Merz, Meloni, Starmer.
Per convincerci della necessità del riarmo, provano a inculcarci la paura: e così il potere mediatico, soprattutto quello “progressista”, ogni giorno ci bombarda con le armi di una guerra psicologica, notizie su notizie che creano e magnificano le “acuti e crescenti minacce” che affrontiamo. Un giorno si parla del “kit di sopravvivenza”, un altro di quanto vadano di moda i bunker antinucleari. E così via, senza sosta.
Per indorare la pillola ci dicono che il riarmo è in realtà una opportunità. Che la conversione dell’industria da civile a militare permetterà di superare magari la crisi dell’automotive e creare nuovi posti di lavoro. Falso, come già dimostrato in diversi studi: nel 2019 in “War Spending and Lost Opportunities”, Heidi Garrett-Peltier, mostrava come per ogni milione di dollari investito in armi si creano 6,9 posti di lavoro (tra diretti e indiretti), ma se lo stesso milione di euro lo utilizzassimo per la sanità i posti creati sarebbero 14,3 e se li usassimo per l’istruzione addirittura avremmo 15,2 nuovi posti di lavoro.
È vero invece che ogni euro in più in armi è un euro in meno per i bisogni popolari. E che quando ci troveremo a dover aspettare un anno e mezzo per una visita medica specialistica necessaria alla nostra salute e sicurezza, non ci salverà un F35 o un carro armato Leopard all’ingresso di un ospedale desertificato di personale e macchinari.
Insistono che con l’arrivo di Trump è necessaria l’“autonomia strategica” dell’Europa, proprio mentre sono pronti a inginocchiarsi, ancora una volta, alla Nato a comando Usa, che a giugno proporrà una nuova soglia di Pil da destinare ad acquisto e produzione di armi: dall’attuale 2% al 3% o al 3,5% o al 5%, come vuole Trump. E i sovranisti di casa nostra sono pronti a pronunciare il fatidico “signorsì signori”, mettersi sull’attenti, battere i tacchi e obbedire. L’unica arte in cui eccellono Meloni & soci. Liberali e socialdemocratici si producono in una esaltazione dei “valori europei”: noi siamo il giardino che va difeso perché fuori c’è la giungla. Peccato che i valori in voga in questo nostro giardino si chiamino, per dirne solo uno, genocidio in Palestina.
Per la messa in sicurezza dei nostri popoli serve tornare alle parole che il Presidente Pertini consegnò al Paese nel messaggio dell’ultimo dell’anno 1979: “Che si svuotino gli arsenali, che si colmino i granai”. Significa sviluppare una politica del disarmo, non certo “sviluppare la Difesa” di cui ha parlato l’attuale presidente Mattarella, che nessuno osa criticare. Una politica di disarmo reciproco che ha bisogno di un piano quanto meno europeo.
Per questo l’arrivo in Italia di Ione Belarra (Podemos), Clemence Guette (La France Insoumise) e Marc Botenga (PTB) per le due assemblee (Roma e Napoli) del 24 maggio è un segnale che richiama la necessità della costruzione di una mobilitazione sul livello europeo. Perché il futuro non è nelle piccole patrie, ma in una patria che rappresenti per una volta le istanze dei nostri popoli e non di una minoranza di ricchi e potenti.