Salute

Cos’è Gleason 9, il tumore alla prostata diagnosticato a Joe Biden. L’esperto: “È come un felino”

l fatto sorprende perché, oltre ai controlli medici di routine e le linee guida che raccomandano screening regolari agli uomini sopra i 50 anni e a cui un Presidente si sottopone con particolare scrupolo, la malattia è progredita in silenzio

Una diagnosi inaspettata ha scosso l’opinione pubblica americana: a Joe Biden è stato diagnosticato un tumore alla prostata in forma aggressiva, scoperto soltanto dopo la comparsa di sintomi evidenti. Il fatto sorprende perché, oltre ai controlli medici di routine e le linee guida che raccomandano screening regolari agli uomini sopra i 50 anni e a cui un Presidente si sottopone con particolare scrupolo, la malattia è progredita in silenzio. Anche se, in realtà la fascia dello screening va da 50 a 70 anni, quindi Biden ne sarebbe rimasto fuori. È possibile però che, dato il ruolo, fosse destinato a protocolli sanitari più stringenti rispetto alla popolazione generale, ma di questo non abbiamo notizie.

La diagnosi del tumore alla prostata “Gleason 9”
La scoperta è avvenuta in seguito a disturbi urinari persistenti, che hanno spinto i medici a effettuare un’ecografia. L’esame ha rivelato un piccolo nodulo che, ulteriori analisi, hanno confermato essere un carcinoma avanzato, già diffuso fino alle ossa. Il tumore è stato classificato con un punteggio di Gleason pari a 9 su 10, segnale di una forma particolarmente aggressiva. Tuttavia, secondo quanto riferito dal team medico, il tumore risulta sensibile agli ormoni, caratteristica che permette margini di trattamento: “Sebbene questa rappresenti una forma più aggressiva della malattia, il cancro sembra essere sensibile agli ormoni, il che consente una gestione efficace”, si legge nella nota ufficiale. Biden e la sua famiglia stanno ora valutando le opzioni terapeutiche disponibili.

In caso di metastasi
Quando il carcinoma prostatico metastatizza, spesso colpisce le ossa, rendendo la terapia più complessa. Tuttavia, nei casi ormono-sensibili, trattamenti specifici possono rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita. Non è la prima volta che Biden affronta problemi oncologici: nel 2023 gli era stato rimosso un carcinoma basocellulare dal torace e, due anni prima, un polipo precanceroso dal colon. L’attenzione verso le malattie oncologiche è sempre stata centrale per lui anche sul piano personale: nel 2022 aveva lanciato una campagna nazionale contro il cancro, promettendo di dimezzare la mortalità nei prossimi 25 anni, un impegno nato dalla tragedia che lo colpì nel 2015, quando perse il figlio Beau, morto a 46 anni per un glioblastoma, uno dei tumori cerebrali più aggressivi.

L’esperto: “È come un felino”
Il tumore della prostata è tra i più frequenti nell’uomo – spiega al FattoQuotidiano.it il professor Bernardo Rocco, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Clinica Urologica dell’ospedale Gemelli di Roma -. Si può presentare, utilizzando un’immagine di un felino, come un ‘gatto’ o una ‘tigre’. Significa che nella maggioranza dei casi si presenta in una forma mansueta e gestibile, in casi meno frequenti in forma molto aggressiva, come quella che ha colpito l’ex Presidente Biden.

Screening e controlli
Per verificare il rischio di un tumore alla prostata si controlla il PSA, un esame nel passato contestato per la sua precisione, ma che “oggi viene rivalutato, secondo anche nuove direttive proposte dall’Unione Europea abbinato alla risonanza magnetica e alla biopsia – continua l’esperto -. In questi programmi di screening possiamo riuscire a fare una diagnosi precoce e avere maggiori probabilità di gestire in modo tempestivo ed efficace questa malattia, anche in questi casi più aggressivi. Consideriamo che in Italia abbiamo ogni anno circa 44mila casi di tumore alla prostata e 7.000 decessi. Secondo alcuni studi, una politica di screening più approfondita, come detto, ci permetterebbe di ridurre ulteriormente l’incidenza delle morti per tumore alla prostata”.

Terapie tumori aggressivi
Nella forma aggressiva di tumore che ha colpito Biden, “di solito si riesce a controllare la malattia non a guarirla – sottolinea Rocco -. Precisiamo che ‘guarire’ significa risolvere il problema e lasciare il paziente in condizione di essere libero dai farmaci. Nel caso delle forme aggressive di cui stiamo parlando, è di fatto necessario effettuare terapie ormonali e valutare nel tempo quanto sarà prolungata e positiva la risposta del paziente a questi trattamenti”.

Verso un approccio multidisciplinare
“Il caso del presidente Biden in realtà è utile per sottolineare quanto sia importante che il tumore della prostata sia gestito in centri multidisciplinari. Per essere quindi trattato con la chirurgia, la radioterapia, l’ormonoterapia e la capacità di eseguire specifici protocolli di ricerca – continua l’esperto -, perché questa sarà probabilmente la chiave di volta per una migliore gestione della malattia. Per questo è importante mettere in atto tutti i controlli e lo screening, partendo dal PSA, passando poi eventualmente alla risonanza magnetica e alla biopsia”.