Lavoro

Dopo 15 anni ho conosciuto la precarietà: l’idea della flexicurity non mi spaventa, ma in Italia non è realtà

L'idea della flexicurity non mi spaventa se accompagnata da un sistema che non ti lascia solo quando cambi

di Francesco Galeazzi

Nell’ultimo anno, ho vissuto in prima persona il tema della precarietà. Dopo aver svolto un lavoro che mi ha mantenuto per quindici anni, mi sono ritrovato — a quasi 42 anni e con due lauree — senza lavoro. Fortunatamente, durante questa crisi, ho avuto l’opportunità di essere contattato da Poste Italiane per svolgere l’attività di portalettere. Sfortunatamente, questa esperienza si è interrotta dopo soli sei mesi. È stato in questo periodo che mi è tornato in mente un concetto studiato durante il mio percorso universitario: sto parlando della flexicurity. È un modello che nasce in Danimarca e che unisce flessibilità per le imprese, sicurezza per i lavoratori e che si basa su tre pilastri: flessibilità, sicurezza sociale e politiche attive del lavoro.

Come riporta anche la Treccani, “L’obiettivo della f. (it. flessicurezza, crasi dei termini ‘flessibilità’ e ‘sicurezza’) è quello di conciliare le esigenze delle imprese in termini di minore rigidità del mercato del lavoro con il bisogno di sicurezza dei lavoratori. Si caratterizza, quindi, per una elevata flessibilità in materia di assunzioni e licenziamenti, accompagnata da una altrettanto elevata sicurezza per gli individui disoccupati, grazie alla presenza di ammortizzatori sociali che forniscano adeguati strumenti di sostegno al reddito e a un efficace sistema di formazione che faciliti le transizioni da un impiego all’altro”.

Pur avendo svolto lo stesso lavoro per tutti questi anni, che mi ha dato la certezza economica e per certi versi una stabilità, mi sono anche reso conto che nel tempo questa stabilità aveva un prezzo: la monotonia, l’assenza di stimoli e la difficoltà a cambiare senza perdere tutto.

Purtroppo, in Italia, la flexicurity non è mai diventata pienamente realtà: il nostro Paese ha adottato sotto certi aspetti il tema della flessibilità, senza però attuare sostanziali politiche di protezione sociale. Manca, difatti, una vera rete di formazione continua e supporto al reinserimento anche se, ad esempio, nella mia regione sono previsti corsi rivolti ai disoccupati di acquisizione della patente C/D, ma una volta terminati sei lasciato solo. Addirittura, il governo attuale ha incentivato la precarietà diminuendo le tutele sociali (basti pensare ai requisiti più stringenti per ottenere l’Assegno di Inclusione). Oppure, la nascita di tante partite Iva o contratti co.co.co, che hanno reso la precarietà non una scelta ma una certezza.

È proprio in questo scenario che ho avuto la sensazione di naufragare: mi è tornata in mente un’immagine potente, quella del naufragio esistenziale di Karl Jaspers. Secondo il filosofo, l’uomo è un’esistenza possibile, che si progetta e decide ogni volta della sua vita, del suo essere. Il naufragio è quella situazione limite che si presenta quando tutto ciò che ci teneva a galla va in pezzi e ci troviamo nudi di fronte a noi stessi e all’esistenza. Ma è attraverso di esso che possiamo divenire veramente liberi e cominciare a scegliere veramente.

Ecco perché oggi, pur ritrovandomi nuovamente disoccupato, l’idea della flexicurity non mi spaventa se accompagnata da un sistema che non ti lascia solo quando cambi, e che attua pienamente l’art. 3 della Costituzione “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Forse è proprio da qui che dovremmo ripartire: non dalla pretesa di una stabilità eterna, ma dalla costruzione di un sistema che permetta alle persone di cambiare senza affondare.

Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!