
Lo stop annunciato da Trump è temporaneo e parziale. Ora partono i negoziati con i grandi partner commerciali, a partire dall'Unione europea che gli Usa accusano di danneggiare il loro export con barriere tariffarie e regolamentari. Per Bruxelles "tutti gli strumenti restano sul tavolo"
Non è finita qui. Perché al momento la tregua sui dazi reciproci decisa da Donald Trump mercoledì è temporanea (90 giorni) e parziale. Tralasciando la disfida con Pechino, sulle cui merci esportate in Usa graverà una tassa del 125%, resta infatti in vigore un dazio “base” generalizzato del 10%: quello che la maggior parte degli analisti si attendeva fosse annunciato il 2 aprile quando invece la Casa Bianca ha alzato il tiro portando il livello tariffario ai massimi nella storia. In più Washington non ha cancellato le tariffe del 25% su auto e componentistica e quelle su acciaio e alluminio, che spaventano la Ue e avevano indotto Bruxelles ad adottare ritorsioni – ora sospese – su una lunga lista di prodotti statunitensi. Questo insomma è solo il punto di partenza di negoziati con i grandi partner commerciali, a partire proprio dall’Unione europea che gli Usa accusano di imporre numerose barriere tariffarie, fiscali e regolamentari a danno del loro export.
Non a caso il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, ha spiegato alla stampa che “l’approccio non è cambiato”, ci si prepara “per tutti gli esiti possibili” nelle trattative e “tutti gli strumenti restano sul tavolo”. Compresa dunque la “pistola” rappresentata dallo strumento anti coercizione, che consentirebbe per esempio di limitare lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale, e da una eventuale imposta sui ricavi da servizi digitali con cui colpire Big Tech. Gill ha chiosato dicendo di non essere, comprensibilmente, in grado di fare ipotesi su cosa accadrà tra 90 giorni perché “al momento sono molto più preoccupato di più cosa potrebbe succedere tra 90 minuti…”.
Bruxelles nei giorni scorsi aveva teso la mano offrendo dazi zero reciproci sui beni industriali e da lì si riparte, sperando che nel frattempo Trump non proceda a colpire anche l’industria farmaceutica che fin qui è stata esentata dall’offensiva. Il congelamento per tre mesi dei primi contro-dazi che avrebbero dovuto scattare il 15 aprile su prodotti simbolo del made in Usa come Harley, Levi’s, burro di arachidi, mais dolce e tabacco da masticare è un messaggio di buona volontà che dovrebbe contribuire a far calare la tensione. La Commissione sembra poi orientata ad acconsentire a maggiori acquisti di gas naturale liquefatto statunitense, caldeggiati dal tycoon.
Domani e sabato le ricadute delle mosse di Trump, a partire dal probabile rallentamento economico globale, saranno al centro di un Eurogruppo e un Ecofin informale a Varsavia. Venerdì pomeriggio i ministri delle Finanze si riuniranno anche con i banchieri centrali per valutare i potenziali impatti sui mercati finanziari. Visto che la frammentazione tra Paesi Ue equivale poi a un dazio autoimposto, si discuterà anche dell’eterno cantiere del completamento del mercato unico.
In attesa di evoluzioni, oggi l’automotive registra ampi recuperi sui listini del Vecchio continente, con Stellantis e Volkswagen in grande spolvero. Ma non è affatto in salvo dalle conseguenze dei dazi in vigore dal 3 aprile, che faranno salire i prezzi di un’auto per i consumatori Usa di cifre variabili tra i 2.500 dollari per i modelli a basso costo assemblati localmente e i 20mila per i veicoli di lusso ed elettrici importati da oltreoceano. Negli Usa la scelta di non graziare il settore ha suscitato nervosismo: la Camera di Commercio Regionale di Detroit e MichiganAuto, riporta Reuters, hanno chiesto a Trump di difendere la catena di approvvigionamento internazionale dell’industria automobilistica da una “frammentazione dannosa” che ne indebolisce la competitività. A essere colpiti sono anche i veicoli realizzati in Messico e Canada, tranne che per le parti prodotte per almeno il 75% in Nord America e quindi conformi all’ accordo di libero scambio USMCA. La scorsa settimana Stellantis ha deciso per questo di lasciare a casa temporaneamente 900 lavoratori in cinque stabilimenti Usa e sospeso la produzione in due stabilimenti di assemblaggio in Messico e Canada.
Gli altri comparti tirano un momentaneo sospiro di sollievo. Ma l’incertezza legata all’imprevedibilità di Trump e all’andamento delle future trattative non fanno prevedere mesi facili,