Mentre l’esercito israeliano ha approvato i nuovi piani militari per l’operazione di terra a Rafah – data per “imminente” – nella città al Sud della Striscia di Gaza continuano i raid di Tel Aviv: almeno 27 palestinesi sono stati uccisi, tra cui molti bambini e donne, negli attacchi notturni a Rafah e Gaza City, secondo quanto riporta Al Jazeera. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha ribadito l’opposizione degli Stati Uniti a un’offensiva israeliana nel sud della Striscia di Gaza: “Non abbiamo ancora visto un piano che ci permetta di credere che i civili possano essere efficacemente protetti“, ha sottolineato il segretario di Stato Usa dal World Economic Forum a Riyad. Sul fronte della diplomazia il funzionario del politburo di Hamas, Izzat al-Risheq, ha chiarito che la proposta per arrivare a una tregua “è ancora in fase di studio“. “Hamas ha davanti a sé una proposta straordinariamente generosa da parte di Israele. E in questo momento, l’unica cosa che si frappone tra il popolo di Gaza e un cessate il fuoco è Hamas. Devono decidere e devono decidere in fretta. Spero che prenderanno la decisione giusta, possiamo avere un cambiamento fondamentale nella dinamica”, ha detto il segretario di Stato Usa. Nella proposta sarebbero previsti “40 giorni di cessate il fuoco, il possibile rilascio di migliaia di detenuti palestinesi, in cambio della liberazione degli ostaggi“, secondo quanto reso noto dal ministro degli Esteri britannico, David Cameron.
La telefonata Biden-Netanyahu – Intanto Joe Biden, in una telefonata con il premier israeliano, ha ribadito “l’incrollabile sostegno americano alla sicurezza di Israele” ma anche “la sua chiara posizione” su Rafah. Benjamin Netanyahu, però, è molto preoccupato: secondo indiscrezioni, rischia nei prossimi giorni una richiesta d’arresto della Corte penale internazionale. Un mandato di cattura che rischia di colpire oltre al premier e anche il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato maggiore delle forze armate Herzi Halevi.
Netanyahu è “sotto uno stress insolito” – L’accusa che potrebbe essere contestata è quella di crimini contro l’umanità commessi ai danni dei palestinesi. Secondo quanto riferito da diversi media israeliani, Netanyahu teme seriamente la decisione del Tribunale dell’Aja tanto da condurre in queste ore una “pressione telefonica senza sosta” sugli Stati Uniti perché l’amministrazione Biden lo aiuti a evitare un mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti. Gli Stati Uniti stanno conducendo “un disperato sforzo diplomatico“, riferiscono i media. Sul sito di notizie Walla, l’analista Ben Caspit scrive che Netanyahu è “sotto uno stress insolito” per la prospettiva di un mandato di arresto contro di lui, che rappresenterebbe un grave deterioramento dello status internazionale di Israele.
Katz allerta le ambasciate – Il governo israeliano è, pertanto, in forte agitazione tanto che il ministro degli esteri Israel Katz ha dato istruzioni a tutte le ambasciate israeliane nel mondo “di prepararsi immediatamente per un’ondata di grave antisemitismo, focolai antiebraici e anti-israeliani”. Lo ha fatto sapere lo stesso ministero giustificando la disposizione “date le voci sulla possibilità che la Corte penale internazionale emetta mandati di arresto contro alti funzionari israeliani politici e militari”. Katz si è tuttavia augurato che la Cpi non emetta i “mandati di arresto”. “Non c’è niente di più distorto – ha aggiunto – che tentare di impedire a Israele di difendersi da un nemico omicida che chiede apertamente la distruzione del nostro Stato”. “Se i mandati verranno emessi – ha denunciato – questi danneggeranno i comandanti e i soldati dell’Idf e daranno una spinta all’organizzazione terroristica Hamas e all’asse dell’Islam radicale guidato dall’Iran contro il quale stiamo combattendo”.
Sauditi: “Vicina intesa con Usa anche su governo di Gaza” – Le nuove intese bilaterali tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti sono “molto, molto vicini” anche sul futuro governo a Gaza dopo la fine del conflitto tra Israele e Hamas: lo ha detto il ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan dopo l’incontro con il segretario di stato Usa Antony Blinken, come riporta Sky News. “La maggior parte del lavoro è già stata fatta” ha detto il ministro saudita, parlando in un panel durante una riunione speciale del World Economic Forum a Riad, aggiungendo che “abbiamo le grandi linee di ciò che pensiamo debba accadere sul fronte palestinese”.
I negoziati – Mentre sul fronte diplomatico si cerca di trovare un accordo, l’esercito israeliano ha comunque approvato i nuovi piani militari per la continuazione della guerra nel sud di Gaza, che attendono ora solo il via libera definitivo da parte del Gabinetto di sicurezza presieduto da Netanyahu. “È questione di giorni”, ha messo in guardia il presidente dell’Anp, Abu Mazen, rilanciando l’appello agli Usa – “l’unico Paese in grado di farlo” – a fermare l’operazione nella città palestinese di Rafah a ridosso dell’Egitto. Proprio per cercare di trovare un accordo il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, è arrivato a Riyad in un nuovo tour che martedì lo riporterà anche in Israele. Se dal Cairo – dove sono in corso i negoziati – arriverà la fumata bianca da parte della fazione islamica, Blinken all’arrivo in Israele dovrà confrontarsi con Netanyahu, il ministro Gantz e quello della difesa Yoav Gallant per mettere insieme gli ultimi dettagli del puzzle. In attesa di novità, intanto, è salito a 34.488 morti il bilancio delle vittime nella Striscia di Gaza, secondo i dati forniti dal ministero della Sanità dell’enclave palestinese.
Borrell: “Diversi Stati Ue pronti a riconoscere Palestina” – Intanto il capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, a margine di una riunione speciale del Forum economico mondiale a Riad, ha fatto sapere che diversi Stati membri dell’Unione europea riconosceranno entro maggio lo Stato palestinese. Irlanda e Spagna all’inizio di questo mese hanno ribadito la loro intenzione di stringere un’alleanza di Paesi che presto riconosceranno la Palestina come Stato nazionale. Un riconoscimento per lo Stato di Palestina già arrivato da 140 dei 193 Stati membri dell’Onu.